Coronavirus, «Se c’è smog la distanza sociale di un metro non basta»

«Molte ricerche hanno messo in relazione la velocità di diffusione dei contagi virali con le concentrazioni di particolato atmosferico, che può costituire un efficace vettore per il trasporto, la diffusione e la proliferazione delle infezioni virali. Il saggio (position paper) che abbiamo pubblicato parte da evidenze scientifiche riportate in numerosi studi di letteratura in merito». È quanto si legge in una nota congiunta di esperti e ricercatori della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), Università di Bari (UniBa) e Università di Bologna autori di un “position paper” pubblicato nei giorni scorsi, in cui si evidenzia una correlazione tra la presenza di particolato atmosferico nell’aria e la diffusione del Coronavirus in determinate aree del Paese. La nota dei ricercatori è una chiara risposta al freno tirato alla loro ipotesi dal movimento ‘Biologi per la scienza’, un gruppo di mille professionisti nato nel 2018 nell’ambito del 50esimo anniversario dell’Ordine dei biologi. Il movimento aveva dichiarato che la ricerca del SIMA è “un position paper”, ovvero un articolo per lo più di ipotesi e opinioni, che «non si trova su riviste scientifiche». 

Ma i ricercatori dell’Università di Bari e di Bologna affermano, invece, che il loro studio è «condotto con metodo scientifico, basandosi su evidenze. Che i virus si diffondano nell’aria trasportati dalle polveri trova riscontro nella letteratura scientifica. Come trova riscontro il fatto che restino attivi per diverse ore». Per tali ragioni, sottolineano i ricercatori, è «importante ribadire che in condizioni di alte concentrazioni di particolato un metro di distanza tra le persone è necessario ma potrebbe non bastare, sia in ambienti outdoor che indoor» La soluzione? Secondo gli autori della ricerca sarebbe quella di ridurre le emissioni al minimo e le distanze tra le persone al massimo. 

fonte: Agenzia Dire

Foto Claudio Furlan – LaPresse

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