I colleghi della studentessa Unibo No Green pass: «Vogliamo tornare a lezione in tranquillità»

Pubblichiamo una lettera dei compagni di corso di Silvia, la studentessa di Filosofia dell’Università di Bologna che per due volte ha interrotto le lezioni per protesta contro il Green pass.

«Assistiamo spesso a situazioni nelle quali le maggioranze tendono a mantenere un basso profilo, con la certezza che l’eco delle proteste della minoranza, prima o poi, andrà a scemare. Tuttavia, troppe sono le dinamiche poste in gioco, troppe le falsità andate in circolazione. Oggi la maggioranza ha deciso di non lasciare implicito il proprio pensiero, ma di esporlo con orgoglio. Siamo stati definiti tra le tante cose “una massa di addormentati mentali”, “antidemocratici”, “caproni”, “aggressori”. Innanzitutto, noi siamo studentesse e studenti di filosofia e ciò non significa che siamo sapienti, ma che siamo amanti del sapere in ogni sua declinazione, sfumatura, riflesso, colore.

È proprio per questo che noi non potremmo mai negare il diritto di un’altra persona di esporre il proprio pensiero e di lottare per esso, così come non oseremmo discriminare le convinzioni altrui; tuttavia, è necessario manifestare le proprie idee in un modo legittimo affinché non si metta a rischio la salute degli altri e non vengano intaccati diritti altrui. È ormai ben noto che la nostra collega Silvia sia entrata durante una lezione di Psicologia cognitiva sprovvista di quella da lei definita “infame tessera verde”, provocando l’annullamento della lezione e accusando la prof.ssa Luisa Lugli di aver preso questo provvedimento di sua spontanea iniziativa; ebbene, ci teniamo a sottolineare che la professoressa non ha fatto altro che seguire il protocollo di Ateneo, che prevedeva la ripresa delle lezioni qualora la ragazza fosse uscita o l’annullamento qualora fosse rimasta.

Silvia era bene a conoscenza di queste disposizioni, perché aveva adottato lo stesso modus operandi circa una settimana prima, nel corso di Storia della filosofia A, e aveva appreso, anche in quel caso, i provvedimenti che conseguono a questo tipo di azioni. A differenza di questa settimana, però, aveva deciso di abbandonare l’aula, poiché non se la sentiva di interrompere la lezione per il rispetto degli altri colleghi. Un rispetto, tuttavia, che già in quell’occasione è venuto a mancare: uscendo dall’aula infastidita, con un gesto di stizza, ha deciso di vandalizzare l’ingresso, rovesciando un cestino e un cartellone per terra. Smentiamo che in tale occasione, inoltre, ci sia stato un “linciaggio” in aula. Si è creato uno scambio di pareri con toni, sì, caldi ed alterati che, però, la professoressa ha poi avuto cura di placare.

Silvia sostiene con fermezza che un gruppo di studenti l’avrebbe poi aspettata fuori per picchiarla. Peccato che abbia omesso un particolare: quel giorno pioveva e l’unico posto per ripararsi, per chi fosse sprovvisto di ombrello, era proprio il cortile dell’università presso il quale, inevitabilmente, si è creata una folla. Come se non bastasse, uscendo dall’aula, è stata lei ad andare incontro al gruppo (a lei totalmente indifferente), istigandolo: “Cosa volete fare ora? Volete picchiarmi?” Silvia si è mostrata come vittima di insulti sui social, tant’è che si è presa la libertà di pubblicare dei messaggi scritti da alcuni colleghi senza nemmeno censurare delle loro informazioni personali come il numero di telefono. Un’azione che non riteniamo da poco. Nessuno di noi nega l’esistenza di messaggi offensivi nel gruppo WhatsApp del corso

C’è da evidenziare, tuttavia, quale sia stato il contesto dal quale sono stati estrapolati suddetti messaggi. Tra quelli che lei definisce “insulti, aggressioni, minacce” compaiono commenti chiaramente sarcastici per stemperare la situazione ed altri dettati invece dalla ovvia rabbia e dal fastidio del momento; ma nessun commento scritto con l’intenzione reale e concreta di minacciarla, screditarla o passare alla violenza fisica. Vi rivolgiamo una domanda: Quale atteggiamento si pretendeva da noi? La calma totale? L’indifferenza? Cerchiamo un confronto, ma dall’altro lato solo derisioni e provocazioni; A me piace troppo vedere le cagate che filosofetti da quattro soldi vanno ad inventarsi, continuate pure almeno si sottolinea questo mirabolante ambiente circense che ancora ci si ostina a chiamare università”, “Siete adorabili ragazzi, a tratti proprio teneri, vi abbraccio tutti così vi contagio perché sono il male aaaaah tremate” ci scrive Silvia nel medesimo gruppo WhatsApp. Lamenta insulti ed insulta. Denuncia fantasiose minacce, ma minaccia un ragazzo del corso che condivide le sue stesse idee, ma che ha deciso poi di dissociarsi dai mezzi con i quali vengono fatte valere.

Riportiamo testualmente: “Alessandro, io capisco la tua volontà di allontanarti da una linea che non ti appartiene più, ma gradirei anche che, se proprio non riesci a fare a meno di essere un mezzo omuncolo, almeno non ti esprimi nei confronti di mia madre. Perché non me ne frega un ca**o, io sono tranquilla e pacifica, ma se non vuoi che la prossima volta che ti veda per strada ti tiri una testata che ti faccia saltare i denti ti consiglio di tenerti certe osservazioni. Dovresti aver capito per altro che non mi faccio nessun tipo di problema a farlo davvero. Una buona serata.” Il motivo? Il ragazzo in questione altro non ha fatto che condividere la notizia dell’intervista rilasciata dalla madre. Nulla di più. La lotta per i propri ideali si nutre anche di coerenza e onestà, altrimenti è vana. Due ingredienti che non vediamo esser troppo presenti.

Riguardo le ultime vicende, decine di ragazzi no-green pass sono entrati nuovamente ad una lezione di psicologia cognitiva, naturalmente sprovvisti della certificazione verde. Il loro intento era quello di parlare “pacificamente” con la professoressa e con gli altri studenti; invece sono entrati irrompendo nell’aula ed invitando per l’ennesima volta la professoressa ad uscire. Ma perché non era possibile farlo una volta che la lezione si fosse conclusa? Perché si è entrati in aula con la consapevolezza di non poterlo fare senza green pass mettendo a rischio un’altra lezione, ma soprattutto la salute degli altri colleghi?

Ebbene sì, bisogna ricordarlo: l’utilizzo del Green pass è una disposizione posta per la tutela della salute di tutti. Dopo un confronto avuto con la professoressa i ragazzi se ne sono andati di propria iniziativa. Erano state avvisate le forze dell’ordine dagli altri studenti. Peccato non siano mai giunte sul posto. Infine, ribadiamo che l’unico scopo di questa lettera, oltre quello di difenderci dalle calunnie e accuse che ci sono giunte a livello nazionale, è quello di riprendere le lezioni in totale tranquillità. Come di solito accade l’eco delle vicende si è distorto sempre di più entrando nella caverna dell’opinione. Silvia, lei stessa orgogliosa della fama ottenuta come scrive sul gruppo WhatsApp, ha cercato di trarre il massimo vantaggio da una posizione di falso vittimismo, probabilmente senza accorgersi che la cicuta socratica non la sta bevendo lei, ma la sta facendo ingoiare a tutti i suoi colleghi, lentamente».

I suoi compagni di corso

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