«Io influencer discriminato perché ero obeso», la confessione di Federico Rutali

L’influencer bolognese da 132mila followers su Instagram ha deciso di denunciare il body shaming che subiva per poter aiutare altre persone. Accusa anche un calciatore di serie A che lo avrebbe bullizzato.

«Sono stato discriminato perché ero obeso, ma ora voglio aiutare gli altri». La confessione è dell’influencer da 132mila followers su Instagram Federico Rutali (23enne bolognesema milanese d’adozione) vittima del cosiddetto “body shaming” (derisione di una persona per il suo aspetto fisico) da bambino e adolescente che oggi ha deciso di raccontare la sua storia per togliersi un peso, ma soprattutto perché quello che ha vissuto può essere di aiuto a qualcuno. «Il bodyshaming e il bullismo hanno caratterizzato la mia infanzia e la mia adolescenza. Fino a 16 anni ero obeso e per questo venivo preso in giro. La discriminazione era sul fisico, ma mi feriva anche psicologicamente. Soffrivo di ansia sociale. Avevo paura a relazionarmi con gli altri, perché mi vergognavo del mio fisico», racconta Rutali.

È stato in cura all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, dove gli è stata diagnosticata l’obesità. Successivamente l’influencer ha trovato la forza di reagire, dimagrendo e avvicinandosi al mondo dei social network che in quel momento erano gli unici a fargli compagnia oltre la televisione. Così Rutali apre un profilo Instagram dove parla di diversità e di “body positivity” per lanciare il messaggio “se ne può uscire”. «Quando hai 14-15 anni pensi di esser entrato in un vortice senza via d’uscita. Ti senti solo, nascondi il problema e non ne parli con nessuno. Quello che invece voglio consigliare ai ragazzi è di parlarne. Parlatene sempre con i vostri genitori, non vergognatevi se vi sentite esclusi, se qualcuno vi fa sentire sbagliati. Siete delle vittime e non dovete vergognarvi per questo», dice Rutali. E prosegue: «Spesso i genitori e gli insegnanti non vedono il problema, non se ne accorgono. Non per cattiveria, ma spesso gli adulti sono talmente presi dal loro lavoro dal non accorgersi di quello che sta succedendo ai figli. Quello che è capitato anche a me», confessa il 23enne.

Secondo Rutali, da adolescenti si è bravi a nascondere le fragilità e le debolezze. Non vogliamo che nemmeno i nostri genitori sappiano. «Ma per venirne fuori bisogna farsi aiutare, se è necessario anche attraverso la terapia psicologica», racconta l’influencer bolognese. Un modo per “venirne fuori” dalla discriminazione potrebbe essere un qualsiasi tipo di hobby.  Rutali, ad esempio, si è appassionato alla fotografia. Ma può essere qualsiasi cosa: uno strumento, uno sport. «Cercate di appassionarvi e diventate bravi in qualcosa. Lo userete come strumento di rivalsa e potete appigliarvi a quell’attività quando vi sentirete giù di morale».

Un altro aspetto che Rutali vuole sottolineare è «l’ipocrisia del mondo dello spettacolo e della televisione. Molti tendono ad aderire alle campagne contro il body shaming, l’omofobia, il razzismo, ma poi nella vita sono i primi a puntare il dito e a fare i bulli. «Mi è successo recentemente con un calciatore di serie A, che aveva più volte fatto campagne contro il bullismo. Più volte mi ha deriso per come ero vestito, piuttosto che per il mio fisico. È un problema culturale. Non si può istituzionalizzare la discriminazione, non possiamo farla passare come una “battuta”, non lo è. In queste situazioni, anche da adulti, il branco ride. Ma bisogna reagire per sradicare questa concezione che ci si può sentire liberi di prendere in giro altre persone sul fisico. Ribelliamoci, rispondiamo. Facciamo notare quando un commento è inopportuno, è solo così che possiamo cambiare la cultura del body shaming e del bullismo», incalza Rutali.

Infine, il 23enne annuncia un prossimo progetto con un’altra collega influencer per sensibilizzare sui social network i ragazzi al body shaming e parlare di body positivity: «perché ogni corpo è diverso e dobbiamo abituarci a questo. La perfezione non esiste, ogni corpo è perfetto a modo suo con i propri difetti».

di Claudia Panagìa

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