Nuovo DPCM, chiusi tutti i musei: «È ingiusto»

Il nuovo DPCM, in Gazzetta Ufficiale da ieri e in vigore da domani 6 novembre, chiude tutti i musei. Un colpo drastico al settore che è già in calo del 40% rispetto al 2020.

«Un’ingiusta chiusura. La scelta di chiudere i musei mette nuovamente in ginocchio un settore che si trova già ampiamente in crisi e che ha rispettato a pieno le misure di sicurezza previste riportando un basso indice di contagio all’interno dei luoghi culturali». Sono le parole di Fabio Roversi Monaco, presidente di Genus Bononiae, uno dei poli museali di Bologna riguardo la decisione del governo di chiudere con il nuovo DPCM  i musei da domani fino al 3 dicembre come misura per tamponare la seconda ondata del coronavirus. A Bologna verranno chiusi Palazzo Fava, con la mostra dedicata al Polittico Griffoni – che già aveva visto slittare l’inaugurazione a causa del primo lockdown – l’Oratorio di Santa Maria della Vita, con la mostra “Criminis Imago”, appena inaugurata, con gli scatti dei fotoreporter Walter Breveglieri e Paolo Ferrari, il Museo della Storia di Bologna a Palazzo Pepoli, San Colombano – Collezione Tagliavini, che già aveva sospeso il ciclo di concerti della stagione e la Biblioteca d’Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale: resta invece aperta la Chiesa di Santa Maria della Vita. 

Da quanto emerge da un rapporto di Federculture, nel 2020 oltre il 70% degli enti culturali ha stimato perdite di ricavi superiori al 40% del proprio bilancio e il 13% prospetta perdite che superano il 60%. Nonostante questo, molti musei ed enti culturali hanno reagito diffondendo la propria offerta tradizionale in forme del tutto rinnovate come visite virtuali, dirette live o programmi accessibili on demand.

Questo tipo di offerta nata in un momento critico è stata ben presto percepita come un’offerta alternativa o, meglio ancora, come una declinazione aggiuntiva delle canoniche modalità di fruizione del prodotto culturale. «Il nuovo DPCM declassa le attività culturali come servizi non essenziali, ignorando da un lato il valore, anche di conforto, che la fruizione di cultura ha, dall’altro il baratro economico in cui si rischia di far precipitare un intero settore, che dà lavoro a migliaia di persone, che muove l’economia e crea indotto», conclude Roversi Monaco.

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