Coronavirus, come i governi hanno affrontato l’emergenza lavoro?

Una pubblicazione speciale edita dall’Università di Bologna ha raccolto le risposte messe in campo dai Paesi in tutto il mondo. 

Come hanno risposto all’emergenza economica e di lavoro dovuta alla pandemia del Coronavirus i governi dei tantissimi Paesi colpiti? Quali misure hanno preso per salvaguardare l’occupazione e le imprese? Se lo è chiesto l’Università di Bologna che, in un numero speciale della rivista Italian Labour Law e-Journal – edita dal Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’economia dell’Alma Mater – ha raccolto le diverse soluzioni messe in campo da circa 40 paesi di tutto il mondo, dalla Corea del Sud agli Stati Uniti, dal Sudafrica alla Svezia, dal Brasile all’Australia.

Alcune iniziative sono comuni a tutti o quasi, ad esempio l’incentivazione dello smart working Altre sono legate ai singoli contesti nazionali, come il ricorso, con gradualità diverse, alla cassa integrazione, oppure più “creative”, come la distribuzione di benefit per i lavoratori in nero. Un quadro variegato dal quale emergono gli sforzi dei governi, che in questi mesi stanno faticosamente cercando di trovare un equilibrio tra emergenza sanitaria e crisi economica.

«Le precauzioni suggerite dagli scienziati in risposta all’emergenza Covid-19 sono le stesse in tutto il mondo, ma per metterle in pratica bilanciando la tutela della salute dei cittadini e la tenuta delle economie i governi hanno fatto scelte differenti. Raccogliere ed analizzare le diverse iniziative intraprese, esaminando temi comuni e soluzioni divergenti, ci può aiutare a porre le basi per una nuova legislazione del lavoro, più adatta a dare risposte efficaci in caso di emergenza», spiega Emanuele Menegatti, professore dell’Università di Bologna, tra i curatori della pubblicazione.

Le criticità sul fronte del lavoro che i governi di tutto il mondo si sono trovati ad affrontare sono comuni: le conseguenze sull’occupazione dovute alla chiusure di molte imprese e attività commerciali, i rischi per la salute dei lavoratori impiegati in servizi essenziali (a partire dagli operatori sanitari), l’impegno per i genitori con figli piccoli a seguito della chiusura delle scuole, le condizioni di forte vulnerabilità in cui si sono trovati molti liberi professionisti, freelance e precari. Per rispondere a queste criticità, alcune delle soluzioni adottate sono risultate comuni a quasi tutti i paesi considerati. Ad esempio, l’incentivazione del lavoro da remoto, la promozione di forme, anche nuove, di congedo, o in alcuni casi l’imposizione dell’utilizzo delle ferie. Mentre per i lavoratori impegnati in attività essenziali o coinvolti nelle prime riaperture graduali post-quarantena è spesso nato un intenso dibattito interno – che in alcuni casi è diventato materia di concertazione tra governo e sindacati – sulle misure di prevenzione da adottare, la messa a disposizione del materiale di protezione, le indicazioni sanitarie da seguire.

Guardando invece alle scelte dei governi per salvaguardare i posti di lavoro colpiti dallo scoppio della pandemia e dalle chiusure forzate delle attività, i ricercatori hanno messo in evidenza due approcci differenti. «Da un lato ci sono paesi come la Francia, il Portogallo, alcuni paesi dell’America Latina, e anche l’Italia, dove c’è stato un forte utilizzo di schemi simili alla nostra cassa integrazione guadagni con l’obiettivo di salvaguardare il più possibile i posti di lavoro», spiega Menegatti. «Dall’altro ci sono invece paesi di stampo più marcatamente liberista come il Regno Unito, gli Stati Uniti o anche l’Australia, dove le misure di sostegno all’occupazione sono state più circoscritte e selettive, e questo ha portato alla perdita di molti posti di lavoro, soprattutto tra i lavoratori più giovani e tra i precari».Ci sono poi alcuni governi che hanno messo in campo soluzioni originali.

Dalla rassegna di paesi considerati, emerge ad esempio il caso della Russia, dove i dipendenti sono stati esonerati dal lavoro con un decreto presidenziale: i giorni dal 30 marzo al 30 aprile risulteranno come «giorni non lavorativi retribuiti», ma gli stipendi saranno a carico dei datori di lavoro e non delle casse pubbliche.Al di là delle singole misure, un altro punto comune in tutto il mondo è poi la sofferenza dei lavoratori autonomi, per i quali le misure di sostegno al reddito sono spesso inadeguate: una situazione già cronica, che con lo scoppio dell’emergenza Covid-19 è diventata ancora più evidente.

Peggiore ancora è ovviamente la condizione di chi lavora in nero, che si è ritrovato senza occupazione e senza garanzie. In alcuni paesi il numero di lavoratori irregolari è talmente alto che i governi sono dovuti correre ai ripari per offrire comunque una forma, anche minima, di tutela. «Ci sono paesi in cui il lavoro in nero riguarda la maggior parte o quasi dei lavoratori. Tra questi sicuramente i paesi africani, ma anche latino-americani, come ad esempio il Messico dove rappresentano il 53% della forza lavoro o il Brasile dove arrivano al 45%», dice il professor Menegatti. «Gli ammortizzatori sociali non sono ovviamente mai destinati all’economia informale, ma proprio il Brasile ha fatto recentemente un’eccezione, destinando un benefit di circa cento dollari al mese per i lavoratori in nero a basso reddito”.

Il panorama delle misure messe in campo dai governi per fronteggiare le conseguenze della pandemia sul fronte del lavoro è insomma variegato. E il lavoro di raccolta dei ricercatori continua. «La nostra iniziativa ha avuto un grande apprezzamento a livello internazionale”, conferma Menegatti. “Abbiamo ricevuto decine di proposte da studiosi di varie nazionalità per includere le esperienze di paesi ancora non considerati. A breve pubblicheremo circa trenta nuovi report, così da andare a coprire un campione significativo, pari a quasi un terzo dei paesi del mondo».

Il numero speciale della rivista Italian Labour Law e-Journal si intitola “Covid-19 and Labour Law. A Global Review” ed è stato curato da Beryl ter Haar (Universiteit Leiden, Paesi Bassi), Emanuele Menegatti (Università di Bologna), Iacopo Senatori (Fondazione Marco Biagi, Modena), Elena Sychenko (Saint Petersburg State University, Russia). La rivista è edita dal Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’economia dell’Università di Bologna, ed è pubblicata ad accesso libero sulla piattaforma AlmaDL Journals. 

Fonte: Università di Bologna

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