L’Università di Bologna collabora con Eni nella ricerca per la decarbonizzazione 

Con un nuovo accordo tra l’Alma Mater di Bologna ed Eni nasce un laboratorio di ricerca dedicato alle nuove tecnologie per la decarbonizzazione e la transizione energetica: sarà situato all’interno del nuovo Centro di Ricerche Ambiente, Energia e Mare del Campus universitario e del Tecnopolo ravennate 

L’Università di Bologna e la multinazionale energetica Eni hanno siglato un Accordo quinquennale che prevede la realizzazione di un Laboratorio Congiunto di ricerca dedicato alle nuove tecnologie per la decarbonizzazione e la transizione energetica e denominato “HC-hub-ER – Hydrogen and Carbon use through Energy from Renewables”. Il progetto rappresenta il primo esempio in Italia di un laboratorio di ricerca aperto anche all’industria che ha come obiettivo di facilitare la creazione di nuove idee e il loro rapido trasferimento al mercato. Il laboratorio sarà situato all’interno del nuovo Centro di Ricerche Ambiente, Energia e Mare del Campus universitario e del Tecnopolo di Ravenna e intende sviluppare sinergie con Istituzioni di ricerca, Enti locali e aziende presenti sul territorio ravennate, con la possibilità di coinvolgimento di soggetti terzi interessati. 

Nel dettaglio, i filoni di ricerca sui quali lavorerà il Laboratorio Congiunto riguardano: produzione e utilizzo sostenibili e sicuri di idrogeno, cattura, utilizzo e stoccaggio di CO2 in sinergia con la trasformazione di idrogeno e tecnologie con emissioni potenzialmente CO2-negative. I ricercatori di Eni e i gruppi di ricerca dell’Ateneo potranno lavorare fianco a fianco all’interno di questi spazi su progetti di interesse comune in questi tre ambiti. «Con questo accordo, Eni rafforza la collaborazione con l’Università di Bologna, che si inserisce nella volontà della Società di accrescere il proprio network con le eccellenze accademiche nazionali e internazionali, e compie un ulteriore passo nel proprio percorso per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione», si legge in una nota dell’Università di Bologna.

 

Fonte: Università di Bologna

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