Chi ha avuto il Covid ha un maggior rischio di disturbi gastrointestinali, lo studio dell’Unibo

Una ricerca guidata da ricercatori dell’Università di Bologna e dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola mostra che chi ha avuto il Covid ha più possibilità di avere disturbi gastrointestinali.

Il Covid 19 è associato a un rischio maggiore di sviluppare disturbi gastrointestinali a lungo termine, inclusa la sindrome dell’intestino irritabile. A rivelarlo sono gli esiti di una ricerca – pubblicata sulla rivista Gut – guidata da studiosi dell’Università di Bologna e dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola. Secondo lo studio chi ha contratto il Covid-19 presenta sintomi gastrointestinali più di frequente rispetto a chi non è stato colpito dal coronavirus. «Data l’elevata diffusione del COVID-19 a livello globale, dobbiamo quindi aspettarci un aumento delle diagnosi legate ai disturbi dell’interazione intestino-cervello», spiega Giovanni Barbara, professore Ordinario presso il Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna e coordinatore dello studio. 

È noto che le infezioni virali possono colpire il sistema gastrointestinale e favorire in particolare lo sviluppo della sindrome dell’intestino irritabile. Una condizione che tende ad essere cronica, caratterizzata da una serie di disturbi intestinali che interessano il colon, tra cui alterazioni della motilità intestinale, gonfiore e crampi addominali. Fino ad oggi però non era chiaro se anche l’infezione da coronavirus potesse portare a queste conseguenze. 

Lo studio

Gli studiosi hanno realizzato un’indagine prospettica con l’obiettivo di valutare la prevalenza dei sintomi gastrointestinali e dei disturbi dell’interazione intestino-cervello nei pazienti ricoverati per infezione da SARS-CoV-2. Lo studio ha coinvolto 2183 pazienti ospedalizzati in 36 strutture di 14 paesi: Italia, Bangladesh, Cipro, Egitto, Israele, India, Macedonia, Malesia, Romania, Federazione Russa, Serbia, Spagna, Svezia e Turchia. I pazienti che avevano contratto il COVID-19 sono stati valutati al momento del ricovero in ospedale e poi seguiti per i 12 mesi successivi, confrontando la loro condizione con quella di pazienti non contagiati dal coronavirus. 

I dati

I dati raccolti e le analisi realizzate dagli studiosi hanno così mostrato che i pazienti ricoverati per COVID-19 hanno riportato più di frequente la presenza di sintomi gastrointestinali (59,3%) rispetto al gruppo di controllo (39,7%). E sono emerse più di frequente anche nuove diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile, che sono risultate associate alla coesistenza di allergie, difficoltà respiratorie durante il ricovero per COVID-19 e assunzione cronica di inibitori della pompa protonica (farmaci gastroprotettori che bloccano la produzione di acido nello stomaco). Inoltre, a distanza di 6 mesi e di 12 mesi dall’ospedalizzazione, tra chi ha avuto il COVID-19 sono stati registrati livelli più alti di ansia e di depressione. 

«Sappiamo che il virus SARS-CoV-2 può infettare anche il tratto gastrointestinale e questo conferma la possibilità che il COVID-19 possa portare allo sviluppo della sindrome dell’intestino irritabile», spiega Giovanni Marasco, ricercatore al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna e primo autore dello studio. «Tracce del coronavirus sono infatti state trovate nell’intestino tenue anche a sei mesi di distanza dall’infezione: questo ci porta a credere che lo stato prolungato di infiammazione e di attivazione del sistema immunitario possa portare allo sviluppo dei sintomi gastrointestinali che sono stati osservati». 

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Gut con il titolo “Post COVID-19 irritable bowel syndrome”. Per l’Università di Bologna e l’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola hanno partecipato: Giovanni Marasco, Cesare Cremon, Maria Raffaella Barbaro, Giulia Cacciari, Daniele Salvi, Alessandro Venturi, Claudio Borghi, Marco Zoli, Paolo Gionchetti, Pierluigi Viale, Vincenzo Stanghellini e Giovanni Barbara. 

 

fonte: Università di Bologna

 

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