Aborto durante la pandemia, informazioni confuse e discordanti al Maggiore di Bologna

In tempi di emergenza sanitaria può risultare difficile accedere senza rischi o difficoltà a servizi essenziali come l’aborto. Ecco perché un collettivo femminista di Bologna, Le Mujeres Libres, si è premurato di monitorare costantemente dall’inizio del lockdown il protocollo messo in atto dall’ospedale Maggiore di Bologna sull’accesso all’IVG (acronimo per Interruzione volontaria di gravidanza). Le Mujeres si sono accorte che le informazioni raccolte erano discordanti, poiché alcuni operatori del reparto di ginecologia sostenevano fosse assolutamente necessario presentarsi con il certificato medico, altri invece assicuravano che, vista la pandemia in corso, si potesse tranquillamente andare in ospedale senza certificato. La mancanza di un protocollo chiaro e definito sull’IVG ha spinto il collettivo a ricordare, tramite Facebook, il percorso burocratico per accedere al servizio: la necessità di un test di gravidanza refertato, ottenibile tramite l’analisi delle urine in farmacia, fondamentale per il certificato medico che permetta l’operazione, il quale deve essere firmato da un medico esterno all’ospedale. Tutto fattibile in tempi normali, ma nel corso di una pandemia è rischioso dover girare per farmacie (molte delle quali non dispongono più del servizio perché i laboratori di analisi sono chiusi), per ambulatori o per consultori. Dopo molti dubbi, le Mujeres hanno ricevuto una testimonianza diretta su un’IVG farmacologica eseguita senza aver dovuto presentare obbligatoriamente il certificato medico, dimostrando quindi che sarebbe possibile ridurre le tappe burocratiche anche una volta finita l’emergenza. 

Il collettivo bolognese chiede infatti la semplificazione dell’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, evitando di allungare inutilmente i tempi di attesa provocando uno stress ulteriore in chi necessita di un’operazione già emotivamente complicata di per sé.  

Le Mujeres rilanciano inoltre le rivendicazioni della rete Pro-choice, ovvero la necessità di poter eseguire tutti gli esami utili in un’unica giornata, di incentivare l’uso del Ru486, ovvero l’aborto farmacologico e di prolungarne la somministrazione fino alla nona settimana, come già accade in diversi paesi dell’Unione Europea (Francia, Germania e Paesi Bassi). In Italia invece l’aborto farmacologico è consentito solo fino alla settima e considerando i tempi necessari a ottenere tutti i documenti che attestino la gravidanza (analisi delle urine e certificato medico), si rischia in molti casi di dover ricorrere all’aborto chirurgico, più invasivo. «L’interruzione volontaria di gravidanza deve essere vissuta in serenità: è da qui che passa l’autodeterminazione, il controllo delle scelte sui nostri corpi deve essere lasciato a noi e solo a noi. Vogliamo finalmente esercitare liberamente le nostre scelte», hanno dichiarato le Mujeres Libres, invitando infine chiunque necessiti di supporto psicologico o pratico a contattarle, tramite la pagina Facebook oppure via mail all’indirizzo: viazambonifemminista@inventati.org. 

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