«Si mantenga la didattica mista», l’appello in un Manifesto degli studenti dell’Università di Bologna

Secondo molti studenti e studentesse dell’Unibo che hanno aderito al Manifesto, la didattica mista (sia in presenza sia da remoto) sarebbe una modalità che garantirebbe un maggiore diritto allo studio.

Duemila firme in meno di 48 ore per mantenere la didattica mista. E’ l’appello online lanciato da un gruppo di studenti e studentesse dell’Università di Bologna, intitolato “Manifesto per il mantenimento della didattica ibrida” in risposta alla decisione dell’Ateneo di riportare tutte le lezioni in presenza a partire dal prossimo anno, senza eccezioni. Per l’Università sembra che la fine dello stato d’emergenza sia anche la fine di quei problemi strutturali che non rendono il diritto allo studio un diritto per tutti e tutte. Basti pensare al problema delle case in affitto a Bologna, non sufficienti per il numero di richieste e soprattutto poco accessibili a livello di prezzo.  

Nel documento come prima tesi a sostegno della didattica mista vengono riportati i dati del Miur sul numero di immatricolazioni all’Ateneo di Bologna, che sono considerevolmente aumentate dall’inizio della pandemia, grazie appunto alla possibilità di poter frequentare anche a distanza. Infatti, si passa dalle 6.225 matricole dell’anno accademico 2017-2018 fino ad arrivare alle 7.746 del 2020-2021.  

«Dopo l’accadersi di un avvenimento, con le sue corrispettive dinamiche, non è possibile tornare indietro, pena la regressione. Intendiamo dunque negare la polverosa tesi secondo cui se la direzione tenuta da un Ateneo è sempre stata quella di presenziare fisicamente, sempre e per sempre così dovrà essere. Affiancare la didattica online a quella in presenza è uno strumento che serve a tutelare il diritto allo studio di tutti i cittadini e dunque non ha come suoi interessati solo alcune categorie; tuttavia, è chiaro che alcuni ne traggono maggiore beneficio essendo a loro altrimenti completamente precluso il diritto ad assistere alle lezioni», si legge nel Manifesto. 

Le categorie sopracitate sono molte, tra queste vi sono gli studenti con difficoltà economiche e pendolari, gli studenti lavoratori e gli studenti con disabilità. Per quest’ultima categoria viene ricordato infatti che “Le studentesse e gli studenti con disabilità hanno trovato nella didattica mista numerose soluzioni ai loro problemi. Le disabilità motorie, ad esempio, sono spesso incompatibili con la vita universitaria, soprattutto da fuori sede. Gli atenei italiani non sono ancora purtroppo pienamente accessibili né bastano i servizi di trasporto/accompagnamento dedicati alle persone con disabilità”.  

Vi sono inoltre studenti con malattia e che necessitano di bisogni educativi speciali (BES), che hanno potuto seguire le lezioni online e usufruire delle registrazioni per gli appunti. «Personalmente, non ho un vero motivo per voler mantenere la Dad”, dice una studentessa, “la mia è soprattutto una battaglia per gli altri. Diversi miei amici hanno dovuto cambiare facoltà e iscriversi in altre che invece garantiscono la didattica mista. Devono arrendersi all’evidenza che le lezioni possiamo comunque registrarle e mandarle ai nostri colleghi che non possono permettersi di assistere in presenza. A Bologna è quasi impossibile trovare una stanza, i prezzi sono altissimi e la domanda supera di gran lunga l’offerta. Gli studentati sono carissimi, io ho fatto il primo anno alloggiando al Camplus College e spendevo 800 euro al mese. Bologna è una città per pochi, non per tutti». 

La studentessa sottolinea anche il fatto che nessuno al momento ha la certezza di come sarà l’andamento della pandemia in autunno. Uno strumento come la didattica mista garantisce il proseguimento delle lezioni anche nel caso in cui tornasse l’emergenza sanitaria. Non a caso, qualche giorno fa su la “Repubblica Bologna” è uscito un articolo che richiamava l’attenzione sull’allarme della Caritas riguardo gli studenti che perdono la borsa di studio e si ritrovano in uno stato di povertà assoluta, al punto da dover dormire in stazione.  

Rimuovendo del tutto la Dad, l’Università di Bologna sarebbe in dubbio il rispetto a cinque dei diciassette obiettivi comuni posti nell’Agenda 2030, tra cui “Sconfiggere la povertà”, “Promuovere un’educazione di qualità, inclusiva e paritaria e garantire opportunità di apprendimento permanente per tutti”, “il raggiungimento della parità di genere e dell’emancipazione di tutte le donne, anche attraverso la tecnologia” e “la lotta al cambiamento climatico”. 

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