L’Arte e il diritto di essere ascoltati, parte a Bologna «We the people»

Il 2 dicembre partirà a Bologna l’ultima edizione del festival Atlas of Transitions Biennale che, tramite l’arte, affronterà il tema del diritto all’ascolto.

Essere ascoltati è un diritto e l’arte può aiutare ad affermarlo. Questo il filo conduttore che porta al festival We the people, la quarta e ultima edizione di Atlas of Transitions Biennale, che si terrà dal 2 al 7 dicembre 2020 a Bologna e realizzato da ERT, l’Emilia-Romagna Teatro Fondazione. Si tratta di un progetto europeo in cui sette paesi – Italia, Albania, Belgio, Polonia, Francia, Grecia e Svezia – hanno collaborato negli ultimi tre anni per ideare e realizzare, con forme artistiche differenti, esperienze innovative di incontro tra cittadini europei, tra residenti stranieri e nuovi arrivati e ancora migranti, richiedenti asilo, minori non accompagnati, rifugiati.

Il festival si scontra ovviamente con la fase pandemica che sta caratterizzando gli ultimi mesi. A questo proposito, secondo la curatrice Piersandra Di Matteo «è urgente salvaguardare il lavoro artistico e gli artisti come lavoratori. We The People decide di esistere sfidando le complessità del momento dispiegando micropolitiche dell’ascolto. Lo spettatore è qui soprattutto qualcuno che si dispone ad ascoltare, che presta attenzione alle voci ignorate o messe a tacere».

Il festival prende il via mercoledì 2 dicembre con Concertata, un’istallazione pubblica, pensata proprio per le bacheche urbane, in cui Bologna verrà arricchita con le fotografie del fotografo freelance Michele Lapini. Oggetto dell’istallazione saranno fotografie che ritraggono assemblee, cortei e azioni collettive: richieste pubbliche d’ascolto, voci di persone in azione.

Voci da Lingua Madre è, invece, il titolo di un altro evento d’apertura che prevede la messa in onda sui profili social di Atlas of Transitions Italia e di ERT di una sorta di presentazione in pillole dello spettacolo teatrale Lingua Madre, della regista argentina Lola Arias. L’opera è la messa in scena di un insieme di storie che riflettono sul significato della maternità, posta in relazione a temi fondamentali per il dibattito contemporaneo, come le lotte femministe, il diritto all’aborto o ancora la fecondazione in vitro. Il debutto è previsto per venerdì 4 dicembre al teatro Arena del Sole, ma è probabile che le misure di contenimento del virus ne impediranno la messa in scena, che verrebbe però solo posticipata: in attesa delle nuove disposizioni comunque non c’è ancora nulla di certo.

La Cineteca di Bologna invece, con la piattaforma web #iorestoinSALA, ha previsto per domenica 6 dicembre la proiezione dei quattro episodi di Saga, realizzati dal collettivo bolognese ZimmerFrei. La serie racconta Bologna con la voce di giovani protagonisti conosciuti nei laboratori del Teatro Arena del Sole e ricostruisce, tramite le loro storie, una nuova idea di cittadinanza, che va dal Camminare al Partire, dall’Abitare al Restare qui: azioni che poi sono anche i titoli dei vari episodi. Uno dei protagonisti di Saga è Filmon Yeman, un giovane di origine eritrea seguito nel percorso che lo ha portato ad ottenere la cittadinanza italiana. Sua è la frase che dà il titolo al laboratorio di visione pensato da ZimmerFrei per le scuole medie e superiori di Bologna, ossia «Per me sono tutti neri, voglio dire normali». Filmon, infatti, è un cittadino italiano, ma non ha mai visto l’Italia, né i suoi nuovi amici: è diventato cieco in seguito all’esplosione di una mina antiuomo nel suo Paese e così, quando immagina le persone, non può che immaginarle nere, normali.

Ancora sul tema delle migrazioni si concentra l’evento conclusivo del festival, Necropolis, del coreografo bielorusso Arkadi Zaides, a cui ha collaborato anche Mediterranea Saving Humans, l’ONG che opera nel Mediterraneo per salvare vite umane. Il lavoro di Zaides vuole dare voce a quelle vite che invece il mare ha inghiottito: sono i migranti vittima di naufragi i protagonisti di Necropolis, ossia morti spesso rimasti senza nome e quindi inascoltati, di cui l’opera restituisce almeno il ricordo. «L’idea – ha dichiarato Zaides nella conferenza stampa di oggi – è quella di allargare l’archivio grazie alla performance, che parte dai nomi ritrovati nei pressi del luogo il cui la performance stessa si svolge». La proiezione online dell’evento sarà inoltre seguita da un dibattito a cui parteciperà anche la reporter Francesca Mannocchi, collaboratrice de L’Espresso e autrice di numerosi reportage sul tema delle migrazioni.

di Erika Sità

 

 

 

 

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