Il nostro smartphone potrebbe tenere sotto controllo il nostro umore

Uno studio di ricerca, coordinato da Mirco Musolesi, professore dell’Università di Bologna, ha messo a punto un sistema che riesce a riconoscere una serie di oggetti associati allo stato d’animo degli utenti. La nuova metodologia può essere alla base di applicazioni per tenere sotto controllo ansia, depressione e altri problemi di tipo psicologico. 

A partire da foto scattate con il telefono, un sistema all’interno del nostro smartphone riesce a riconoscere in automatico una serie di elementi associati al nostro umore, grazie ad un sistema basato sull’intelligenza artificiale. Lo studio si basa sui dati raccolti attraverso una app sviluppata per l’occasione da un gruppo italo-britannico di studiosi coordinato da Mirco Musolesi, professore dell’Università di Bologna. I risultati ottenuti aprono la strada alla progettazione di applicazioni intelligenti basate sugli stati emotivi degli utenti, e non solo.  «Le tecniche proposte nel nostro lavoro possono essere implementate in una vasta gamma di applicazioni. Ad esempio, potrebbero risultare utili per gestire il ritorno alla normalità dopo il lockdown dovuto alla crisi Covid-19: una condizione che per molti può risultare potenzialmente difficile dal punto di vista della salute mentale, e che quindi può portare ad un aumento dei casi di ansia e lieve depressione», spiega Musolesi.

Negli ultimi anni sono stati studiati diversi sistemi per derivare lo stato d’animo degli individui a partire da dati raccolti in tempo reale con dispositivi mobili: utilizzando ad esempio i dati GPS, oppure analizzando i post pubblicati sui social media, o ancora studiando le interazioni registrate dagli smartphone. Questa è però la prima volta che un gruppo di ricerca prova a sfruttare le informazioni legate all’ambiente in cui si trovano fisicamente le persone. Per farlo gli studiosi hanno sviluppato MyMood, una app che in momenti casuali della giornata sottopone agli utenti un piccolo questionario sul loro stato emotivo, al termine del quale chiede di scattare una foto del luogo in cui si trovano. I ricercatori hanno così potuto analizzare, per un campione di 22 utenti, un totale di 3.305 questionari compilati e altrettante fotografie associate. I dati raccolti sono stati quindi processati da un sistema di deep learning basato su tecniche di intelligenza artificiale, che è riuscito ad individuare in automatico i singoli oggetti presenti nelle immagini. 

Associando gli oggetti individuati con le informazioni sull’umore degli utenti, gli studiosi hanno così potuto evidenziare collegamenti tra stato psicologico e ambiente fisico. Ad esempio, la presenza di elementi tipici di un ufficio, come la tastiera di un computer, è associata ad un maggiore stress, mentre oggetti tipici dell’ambiente domestico – un letto o una televisione – sono associati ad un minore livello di “prontezza fisica”, e la presenza di un volto vicino è associata ad una maggiore felicità. «È la prima volta che un’analisi di questo tipo, basata sulla rilevazione automatica di oggetti estratti da immagini della vita quotidiana degli utenti, viene realizzata. Questa metodologia può essere alla base di applicazioni intelligenti in grado di tenere sotto controllo ansia, depressione e altri problemi di tipo psicologico, ma anche in altri campi, ad esempio in architettura e nel design, per l’analisi e la progettazione di spazi interni ed esterni», dice Victor-Alexandru Darvariu, primo autore dell’articolo che ha svolto questa ricerca durante un’internship nel gruppo del professor Musolesi 

E questi sistemi non sono limitati all’utilizzo attraverso smartphone: possono infatti trovare applicazioni anche in nuovi dispositivi tecnologici come gli smart glasses e altre tecnologie indossabili, in grado di catturare in automatico l’ambiente in cui si muovono gli utenti. Tutto questo, ovviamente, al netto degli aspetti di privacy, che restano fondamentali. «Il nostro studio è stato realizzato nel rispetto di un protocollo etico e del Regolamento Generale per la Protezione dei Dati (GDPR)”, conferma Musolesi. “La privacy è essenziale in questo tipo di ricerca: grazie ai sistemi di deep learning l’analisi delle immagini può essere effettuata direttamente sul dispositivo, ma in ogni caso si deve poter prevedere una totale anonimizzazione dell’identità dell’utente». 

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Proceedings of the ACM on Interactive, Mobile, Wearable and Ubiquitous Technologies con il titolo “Quantifying the Relationships between Everyday Objects and Emotional States through Deep Learning Based Image Analysis Using Smartphones”. Per l’Università di Bologna ha partecipato il professor Mirco Musolesi, docente al Dipartimento di Informatica – Scienza e Ingegneria. L’articolo sarà presentato in settembre alla “Joint Conference on Ubiquitous and Pervasive Computing (UbiComp 2020)”. 

Fonte: Università di Bologna 

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