Fare la barista non è un lavoro per donne. Clienti molesti, datori di lavoro che non vedono o forse non vogliono vedere ciò che accade sotto i loro occhi, come è successo ad Anna (nome di fantasia) che ha lavorato per alcuni anni in un bar del centro di Carpinel Modenese, dove la domenica si riunivano alcuni ultras della squadra locale per festeggiare il post partita. Mentre Anna serviva da bere, le veniva gridato di tutto e di più. Dagli apprezzamenti sull’aspetto fisico a veri e propri commenti a sfondo sessuale piuttosto espliciti che hanno spinto la ragazza, offesa e denigrata, a rivolgersi alla propria titolare, presente alle scene. Anna sperava nella sua comprensione e in un suo intervento, ma sbagliava. Anna non doveva prendersela, anzi, doveva sentirsi lusingata. Si è ritrovata sola, indifesa di fronte a chi ancora non vede la donna come un essere umano, ma un oggetto da commentare, da schernire a proprio piacimento. Anna nel ventunesimo secolo si è dovuta rivolgere a suo padre perché smettessero di importunarla a lavoro. Il suo capo (donna anche lei) non ha potuto (o voluto) risolvere la situazione, lasciando che una ragazza di appena vent’anni venisse molestata verbalmente da uomini di mezz’età 

«Io sono stata fortunata, ho potuto rivolgermi a mio padre che ha subito risolto la questione, parlando direttamente con il capo degli ultras. Tuttavia non doveva andare così, non sono soddisfatta. Sono una donna, come la titolare che doveva difendermi e invece è rimasta a guardare. E soprattutto penso a tutte quelle ragazze che non hanno avuto la mia stessa fortuna, che hanno dovuto continuare a subire molestie sotto gli occhi di tutti, venendo svilite come lavoratrici e come donne», racconta Anna. 

Purtroppo Anna non è la sola, c’è chi ha dovuto sopportare molestie per ben tre anni, senza sconti fino all’ultimo giorno di lavoro. Siamo sempre a Carpi e questa volta parliamo di Stefania (nome di fantasia), cameriera. Nel bar dove lavora ci sono diversi clienti abituali che si fermano almeno due, tre volte a settimana. Stefania viene notata da un uomo in particolare, che comincia pian piano a rivolgerle attenzioni, inizialmente respinte con gentilezza. Ma le attenzioni da parte del cliente, un quarantenne divorziato, si sono fatte sempre più insistenti e sgradite: invita Stefania a casa sua, mentre prepara il caffè si complimenta per il suo lato b, non risparmiandole altre umiliazioni davanti al figlio adolescente che ogni tanto porta con sé a pranzo. Anzi, se è possibile, la situazione peggiora. Allora anche Stefania, come Anna, si rivolge al proprio titolare. Niente. Gli episodi non vengono ritenuti gravi, anzi, vengono banalizzati, alla fine è «solo un tipo un po’ esuberante, cosa vuoi che sia, pensi di essere l’unica?».  

Stefania ha potuto trovare un breve sollievo grazie alle sue colleghe, che avevano vissuto esperienze simili alle sue. Hanno quindi fatto squadra, avvisandosi l’un l’altra se vedevano arrivare un cliente poco raccomandabile. «Tra donne ci capivam»,racconta Stefania. «Ma quando ero sola, né i colleghi maschi né il titolare mi hanno mai aiutata. Io stessa non avevo recepito subito la gravità del suo atteggiamento nei miei confronti, forse lo ritenevo normale anche io all’inizio. Poi ho capito che non c’è nulla di normale nella violenza di qualsiasi tipo sia, anche verbale». Secondo i dati diffusi dalla polizia di Stato ogni giorno in Italia 88 donne sono vittime di violenza, una ogni 15 minuti. Maltrattamenti, percosse, stalking. Nei casi sopracitati si tratta di violenza verbale, ma non fa alcuna differenza: l’Italia non è ancora un paese per donne. 

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