Le assegnano una medica di base sospesa perché No vax, tutto da rifare

Ci scrive Francesca, una innovation designer trasferitasi a Bologna da poco e alle prese con la scelta del medico di base: un’avventura che ha voluto raccontarci.

«Ho preso la residenza a Bologna qualche mese fa e, senza nessuna comunicazione, mi è stato revocato il mio Medico di Base. Avrei dovuto saperlo da me, immagino. Scoperto l’arcano dopo mesi e per puro caso, inizio la traversata verso la scelta di un nuovo medico di Base in città. Da nativa digitale, ma pur sempre ingenuamente, ho creduto di poterlo fare tramite Fascicolo Sanitario Elettronico, per non perdere tempo e non farlo perdere a nessun altro. Senza nessun motivo apparente, questa possibilità mi è stata preclusa e ho quindi deciso di investire un po’ di tempo del mio ultimo, e soleggiato, giorno di ferie per recarmi al CUP (come indicato dal messaggio di errore sul Fascicolo) e svolgere la procedura con la, lasciatemi dire necessaria, assistenza di un operatore. 

Mi reco alla farmacia dove vado abitualmente e solo dopo 30 onestissimi minuti di coda, quando è ormai il mio turno, la farmacista mi dice che purtroppo i CUP delle farmacie non sono abilitati al tipo di servizio che cerco. Avrei dovuto sapere anche questo, forse. Per fortuna lei nota il mio disagio e mi indica i due CUP centrali più vicini così io scelgo, per compatibilità di orario, quello di via Mengoli. Tento così, sempre ingenuamente, di chiamare per fissare un appuntamento ma dopo interminabili minuti in attesa ho pensato fosse più comodo recarmi direttamente alla sede. 

Una volta arrivata, alle 12:25 circa del giorno venerdì 7 gennaio 2022, incappo nel gentiluomo all’accoglienza, che quasi potrebbe sembrare un ossimoro dato che nei suoi comportamenti poco c’era di accogliente. Mi indica quale numero staccare dicendomi anche che davanti a me ci sono circa 100 persone e di conseguenza un’oretta di attesa. Alla mia espressione, sempre ingenuamente, contrariata, mi ammonisce dicendo che avrei potuto prendere appuntamento telefonicamente e alla mia risposta “Ho provato ma sono sempre stata lasciata in attesa” controbatte con “Ma non devi provare, devi insistere”: una prova di coraggio, praticamente.Quindi niente, inizia così la mia avventura all’interno di una sala dalle finestre spalancate e una temperatura percepita simile a quella del Polo Nord. “E’ una protezione dal Covid” giustifico e “Ma si tratterà solo di un’oretta”, mi incoraggio. 

Non entrerò nel merito di alcune scene e discussioni che il gentiluomo di cui sopra ha affrontato con altri cittadini in attesa, anche se ritengo non diano lustro al Sistema Sanitario Italiano, in quanto non mi vedono protagonista né direttamente coinvolta. 

Così, in un batter di ciglia, ci troviamo, sempre nella stessa sala d’attesa che ormai avevo imparato a conoscere come il monolocale in cui vivo, alle 15:20 circa. A questo punto un ragazzo straniero mi avvicina e mi chiede, in inglese, se posso aiutarlo a compilare un modulo, chiaramente in italiano. Ci provo e mi rendo conto che quasi è difficile anche per me. Chiacchieriamo del più e del meno e mi racconta della sua avventura con le procedure per l’iscrizione all’ultimo anno del suo dottorato. Dopo circa 20 minuti, quindi per un totale di 3 ore e 15 di attesa, chiamano inspiegabilmente il mio numero. Entro, mi siedo allo sportello, l’operatore cerca un Medico di Base nella mia zona, confermo, stampa due fogli e in 3 minuti risolviamo, finalmente, il mio problema. 

Sarebbe tutto finito e potrei finalmente tornare a casa a pranzare se non fosse per il ragazzo straniero di cui sopra che, seduto allo sportello accanto al mio, vedendo che mi sto alzando per andarmene mi chiama chiedendomi aiuto per capire quello che dice l’operatrice e farsi capire da lei. “E’ normale” penso “d’altra parte a Bologna ci sono talmente pochi stranieri e non vengono studenti da tutto il mondo, ci sta che nessun operatore conosca nemmeno una parola di inglese.” 

Lo aiuto come riesco e, a problema risolto, intorno alle 16:20, me ne vado. “EUREKA, già fatto!!”. Se l’avvincente vicenda fosse finita qui, non avrei sicuramente colto l’occasione per scrivervi. Il bello, invece, deve ancora venire. Purtroppo. Torno a casa sfinita ma soddisfatta, con i recapiti della nuova dottoressa in mano che sfrutto subito per prendere un appuntamento con lei per presentarmi. 

Così chiamo prima il numero fisso, pensando di parlare con gli operatori di segreteria, per non disturbare la dottoressa che magari sta visitando. Anche qui parte una segreteria automatica che ripete gli orari di apertura dello studio (spoiler: in quel momento avrebbe dovuto essere aperto) e dopo qualche secondo riaggancia. Non mi demoralizzo: chiamo il numero di cellulare. A questo punto, come in ogni trama che si rispetti, il protagonista della storia sconfigge il drago e libera la vittima. Ma non nella mia, forse ingenua anche lei, trama.  

Veniamo, quindi, al climax: la dottoressa mi risponde, mi presento e le chiedo un appuntamento e lei, tra l’incredulo e il sorpreso, mi dice di essere sospesa, a data da destinarsi, in quanto non vaccinata. Inutile dire che nessuno me l’aveva detto prima perché ingenua sì, ma cretina non sono ancora. E così mi sono ritrovata il giorno dopo, all’interno del mio Fascicolo Sanitario Elettronico, a scegliere nuovamente un altro Medico (perché la prima volta devi stare 4 ore al CUP, ma dalla seconda in poi ti vengono spalancate le porte del mondo digitale) con la speranza che non sia altrettanto sospeso. 

Sono perfettamente consapevole che esistano storie ben più avvincenti di questa ma mi sono resa conto di avere due alternative: tornare in via Mengoli e fare una carnevalata con tanto di coriandoli e spettatori, oppure condividere la mia storia con voi e con chi avrà voglia di leggerla.  

P.S. Spero non venga presa la mia ironia per indifferenza all’accaduto: è la mia arma per gestire e trasmettere educatamente la rabbia e l’impotenza che ho provato». 

Una cittadina ingenua 

Francesca 

 

 

foto: da archivio

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