«890 euro lordi senza pausa pranzo e anche turni da 12 ore al giorno», la denuncia di una dipendente di Coopservice

«Quasi dieci mesi di lavoro al regime di circa sessanta ore di servizio a settimana fino a che, non reggendo più il colpo, sono crollata smettendo di mangiare e avendo serie difficoltà a dormire per ansia e attacchi di panico».

Cinque euro e sette centesimi l’ora che, al mese, non fanno nemmeno 890 euro lordi per un contratto a tempo pieno. Senza buoni pasto. Del resto, la pausa pranzo non sarebbe nemmeno regolamentata. «Lavoro per Coopservice e posso concedermi di mangiare qualcosa al volo rischiando di strozzarmi in un momento apparente di calma in cui nessun utente della struttura in cui mi trovo viene a chiedermi qualcosa. Il tutto, ovviamente, senza allontanarmi dalla portineria, la quale non può mai rimanere scoperta». Comincia con questa ironia la denuncia di una lavoratrice nei confronti dell’azienda per cui lavora, Coopservice, la cooperativa che gestisce servizi di portierato, vigilanza e pulizia in molte strutture pubbliche, a Bologna e non solo. Ovviamente la dipendente, per paura di ripercussioni nell’ambito lavorativo, vuole restare anonima e la sua denuncia, specifica, «vuole essere esclusivamente volta non a rovinare la reputazione della cooperativa ma a cercare di convincere i posteri a non finirci dentro, per non rimanere invischiati nella confort-zone di una sicurezza soffocante ed illusoria». 

La lavoratrice entra meglio nel dettaglio e spiega le sue ragioni. «Se la struttura, con dipendenti di Coopservice, paga per avere in turno due persone, si ha la possibilità di mettersi d’accordo col collega per alternarsi e mangiare qualcosa sempre velocemente ma perlomeno in santa pace. Se, invece, la struttura paga per avere in turno una sola persona, chi è di turno potrebbe essere costretto a rimanere al servizio della portineria, subendo continue interruzioni per rispondere alle necessità degli utenti. Tutto questo si tradurrebbe, a lungo andare, nella trasformazione del pranzo da un momento di ristoro ad un motivo ulteriore di frustrazione», spiega la dipendente. 

Inoltre, se la giornata lavorativa si conclude dopo otto ore di servizio, la questione è più facilmente affrontabile. Ma, a dire della denuncia della lavoratrice, il turno può durare 12 ore, anche tutti i giorni. Come è capitato a lei quando era nella fase delle proroghe, in piena pandemia e col terrore di rimanere a casa senza lavoro, durante la scalata al tanto agognato tempo indeterminato. «Quasi dieci mesi di lavoro al regime di circa sessanta ore di servizio a settimana fino a che, non reggendo più il colpo, sono crollata smettendo di mangiare e avendo serie difficoltà a dormire per ansia e attacchi di panico. Il tutto nonostante in quel periodo abbia chiesto, anche letteralmente piangendo, di poter fare meno ore. A questo quadretto aggiungi l’abitudine di alcuni dipendenti strutturati di delegare il più possibile il loro lavoro, e non solo, al personale esterno delle portinerie, sotto minaccia di riferire al nostro responsabile, cito, ‘che non abbiamo voglia di lavorare’». Minaccia, spiega la giovane lavoratrice, arrivata nel momento in cui si è rifiutata di accontentare la sua ennesima richiesta di favori personali che non rientrano nelle sue mansioni, come ad esempio sorvegliarle la macchina parcheggiata in cortile. 

E a proposito di strutturati, «in tutto quel periodo in cui questi erano in smart-working, il loro lavoro è stato addossato al personale Coopservice, senza un aumento della paga, senza regolamentazione alcuna, e con la sola formazione data da un ridicolo corso online della durata di quattro ore. È stato il mio compagno, vedendomi stare sempre peggio, a spingermi a chiamare il medico curante, il quale mi ha diagnosticato un esaurimento psicofisico, per il quale sono tuttora in cura presso il CSM, e mi ha rilasciato un certificato di malattia di quasi due mesi», racconta amareggiata la lavoratrice di Coopservice. 

Tornata al lavoro, però, la situazione non sarebbe cambiata granché. «Sono iniziati altri atteggiamenti vessatori tra continui cambi di turno per i quali mi viene chiesto di lavorare sempre di più, talvolta anche senza che venga rispettata l’interruzione di undici ore tra un turno e l’altro, e chiamate a tutte le ore, anche durante il giorno di riposo, tanto da farmi arrivare ad affrontare la spesa di acquisto di un altro cellulare per poter spegnere quello di cui loro hanno il numero senza rendermi irreperibile per la mia famiglia. Lo stesso attaccamento alle vie telefoniche, invece, non si ha quando gli si chiede, per esempio, un cambio turno o delle spiegazioni per delle ritenute in busta paga la cui relativa voce le spiega come dovute ad assenza ingiustificata che non ho mai fatto», continua la dipendente.

La denuncia che la lavoratrice a inviato al nostro giornale si conclude con la sua convinzione che lamentarsi non serve. Ma spera che il racconto della sua esperienza possa essere un’arma più efficace, una «scintilla se si mira al cambiamento».  

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