Sardine, la fermezza della gentilezza 

«Quando ho scritto la prima volta sulla chiamata a raccolta delle “sardine” ho affidato la chiusura della mia riflessione alle parole di Alcide Cervi, che avevo definito “bussola di valori”. Il 19 gennaio, in piazza VIII agosto, a Bologna, sono “inciampata” nello sguardo, pieno e sereno, di Adelmo Cervi (è arrivato in bicicletta, come me), al quale ho stretto la mano con entrambe le mie mani, semplicemente perché è testimonianza vivente di quei valori. E da qui, come in una sorta di staffetta, voglio iniziare questa mia nuova testimonianza. 

È difficile riordinare le emozioni dopo la giornata del 19 gennaio. Posso dire che per me è stato come vivere un ‘’ritorno alle origini’’ – ma non in senso anagrafico e, comunque, non solo per la gioia di aver ascoltato i miei gruppi preferiti e di aver vissuto lo spirito di un concerto straordinariamente eterogeneo per generi ed abilità artistiche – un ritorno alle origini, dicevo, inteso proprio come recupero di un contatto quasi ancestrale con bisogni reconditi: comunicare, guardarsi negli occhi, stringersi le mani per presentarsi, stupirsi per l’emozione provata, raccontarsi, commentare le proposte degli artisti, ridere, oh si, ridere e, poi, soffermarsi a pensare. 

Banalità, sentirete dire da qualche parte. A questa obiezione ho già risposto dicendo che certa politica, negli anni, si è persa nei meandri della complessità, e lì è rimasta, senza accorgersi che tra gli interstizi dei nostri territori, delle nostre esigenze lavorative, della nostra richiesta di istruzione, della nostra domanda di lavoro, di salute, di sicurezza, c’è anzitutto la semplicità dei bisogni. Ma questa mia risposta non spiega quello che è accaduto il 19, in piazza VIII agosto, a Bologna, e non racconta nulla della forza su cui possiamo contare per il futuro. 

Banalità. Domando a me stessa, è banale leggere a 40.000 persone il discorso del maresciallo del ReichtGoering, pronunciato a Norimberga, sulla determinazione del consenso popolare mediate il “trascinamento” operato dai leader politici, di qualunque parte del mondo e qualunque ideologia, attuato attraverso il metodo della paura? Lo hanno fatto gli Afterhours e, no, non è banale. Non lo è perché svelando la “nudità del re”, quel discorso svela la nostra fragilità di fronte ai mezzi di comunicazione contemporanei, e ci costringe a chiederci fino a che punto siamo costretti a tollerarne ancora le conseguenze. La prima reazione, in realtà, era già in atto: portare i nostri corpi in piazza, uscire dalla fossa dei leoni da tastiera e ascoltare, con tutti i sensi attivati, quella pagina di storia, accompagnata da ottima musica ‘’fammi far qualcosa che serva’’, ha cantato Manuel Agnelli a squarciagola dal palco, e dalla piazza qualcuno ha urlato ‘’votiamo, domenica mettiamoci la nostra di faccia’’. 

E, ancora, è banale sentir parlare di cucina e del sacrificio di un lavoro infilato a forza in una valigia, che non sarà di cartone, ma ha dentro il profumo di casa, degli affetti, delle provviste stipate da mani amorevoli, ma ha anche in serbo il dispiacere di quella distanza, la malinconia dell’assenza, l’impronta, sempre più debole dell’ultimo abbraccio. È banale parlare di quel viaggio che, alla fine, ti fa apprezzare le diversità e ti consente di raccontare storie di commistione, non solo di inclusione, e anche di visionari ritorni per investire quel patrimonio di scoperte nella tua terra d’origine. No, non è banale, ne ha parlato con commossa e divertita semplicità lo chef Mario Ferrara. 

E, ancora, è banale parlare di poesia, raccontare la fatica di certi luoghi di sopravvivere a se stessi, ma anche le potenzialità intrinseche, immaginando progetti fondati sul recupero, sull’investimento scolastico mirato, teso a recuperare professionalità scomparse ma ancora necessarie, mostrando anfratti di Italia dimenticati da Dio (altro che Cristo si è fermato ad Eboli) in attesa di creatività e passione. 

È banale parlare della potenza del mare attraverso i versi struggenti di Eduardo De Filippo, a ricordarci che “o mare è mmare”, anche se fa paura e che di questa Natura noi dobbiamo avere cura, non solo nell’emergenza. No, non è banale e ce ne hanno parlato Franco Arminio, attraverso il suo messaggio a distanza affidato a Patrizio Roversi, e una toccante Cristiana Dell’Anna. 

E su questa scia, è banale parlare di territori a margine e sviscerare gli errori legislativi commessi per cecità di una pianificazione complessa, che ha guardato al dissesto idrogeologico e alla mobilità con la lente dell’abaco, e non con quella dell’esploratore, fatta di ascolto, conoscenza delle pieghe di questo nostro variegato Stivale. No, non è banale, ce lo hanno ricordato Patrizio Roversi e Fabrizio Barca. 

E, ancora, è banale ascoltare la storia di Moussa, arrivato dal Benin sopra un barcone, o di Caterina, ricercatrice rientrata in Italia dopo dieci anni di esperienza all’estero, o di un sindaco impegnato sul suo territorio, da solo, ma determinato, o di una famiglia con le sue fatiche o di Daniele, ipovedente, o di Aminata, l’uno a raccontare la storia dell’altro, perché l’empatia è importante. Erano lì, a parlarci delle loro storie, che sono storie di tutti, carichi di proposte più che di domande. No. Non è banale, non solo per la sete di sapere che animava quella piazza, ma perché alcune agende istituzionali sono vuote di contenuti cogenti in grado di affrontare ora, ma con lo sguardo del lungo periodo, tematiche che in qualche parte hanno trovato risposta, ma che per lo più ci trasciniamo irrisolte da decenni di egoismi. 

E, ancora, è banale parlare della violenza verbale riversata con disarmante leggerezza sui social, che diventano prismi con l’effetto di duplicare l’orrore e l’efficacia della paura verso l’altro. No, non è banale, e lo ha detto con semplicità contadina Francesco Guccini, ricordandoci che suono hanno le parole lievi, che forza hanno i desideri di riscatto: ‘’Dopo la guerra c’era una voglia di ballare che faceva luce’’ …. che faceva luce. 

Come non vederla l’energia che genera quella luce, come non sentirla la carica di parole così poetiche, come non sentire il desiderio di riscatto dalle delusioni politiche, dal senso di abbandono, dal disgusto per le risposte rimaste inevase o, peggio, derise, dai sacrifici sofferti. Come non sentire il desiderio pulsante di superare la solitaria resistenza attuata presso le proprie aziende, nell’esercizio della professione, nelle scuole – ove manca la carta per le fotocopie -negli ispettorati del lavoro, dove i dipendenti si tassano per raggiungere i luoghi da sottoporre a controllo, negli ospedali, ove manca il personale, e i pochi presenti devono sopperire a carichi non degni di un sistema efficiente, e nelle carceri dove l’umanità è affidata alla solidità delle associazioni, e per mare, dove le vite si ancorano a mani che politici spietati hanno cosparso di unguento per renderle viscide alla presa. Come non sentire il desiderio dirompente di immaginare una soluzione costruita sulla semplicità dei bisogni? ….‘’c’era una voglia di ballare che faceva luce’’. 

E, allora, no, non è banale, perché in quella piazza abbiamo riso insieme, e ci siamo commossi, e abbiamo trattenuto il fiato quando il Maestro Ezio Bosso ci ha donato le note della Europa Filarmonica Orchestra, per dirci con parole semplici che la complessità delle diversità si può affrontare imparando a stare insieme, anche suonando e divertendosi. No. Non è banale. 

E sono banali i provocatori Skiantos con il loro ‘’rock demenziale’’, con quella ironia tagliente, intelligente, surreale, e sono banali i ritmi, a volte nostalgici, ma solidi, della Banda Bardò, dei Modena City Ramblers, della Casa del Vento, o hanno ancora da raccontare – in un tempo in cui non si è in grado di capire che ‘’Bella ciao’’ non parla di comunismo ma del sacrificio di un giovane per la libertà nostra, non sua. No. Non è banale 

Ed è banale il mantra di Sandro Ruotolo ‘’guagliò tre morti al giorno’’ a ricordare a questa nostra Emilia-Romagna, e all’Italia intera, che non sono i 40 migranti strappati all’agonia del mare a doverci spaventare, ma i caporali che li sfruttano e le mafie che seguono i soldi (loro sanno farlo). No. Non è banale. 

Ed è banale la poesia degli archi di Vasco Brondi, o la carica di Joycut o l’energia dei Rumba de Bodas o la dirompente energia dei Subsonica. Ciascuno di questi cittadini, di questi artisti, ha voluto contribuire all’apertura di una breccia, dalla quale far entrare ossigeno in un asfittico sistema che aveva perso semplicemente umanità. 

Non è affatto banale il desiderio di esserci, in carne ed ossa, di 40.000 persone, motore di una giornata in cui non ho mai provato astio, mai rabbia, mai paura e, come me, l’intera piazza. 

Quella piazza ha aperto un varco, enorme, che ha sgretolato la banalità dell’ovvio generato dall’odio, ma anche la paura di pericoli inesistenti, innescata scientemente. È crollato il muro della solitudine ed ora spetta a noi, a ciascuno di noi, agire, senza mezze misure, con la forza dei corpi, con passione ed entusiasmo, perché finalmente siamo tornati in mare aperto. 

Sono state gettate le basi per ricostruire un tessuto ricco di proposte, e questo è accaduto non a caso in una Regione che è modello di buona politica. La politica dei palazzi dovrà tenerne conto perché noi saremo lì, a battere cassa, con la nostra fermezza gentile. 

Per citare Godano dei Marlene Kuntz ‘’la gentilezza è carismatica, allieta chi la riceve e chi la dà, stordisce il male e la sua banalità’’».

di Hilde Petrocelli

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