Perché un disabile non può permettersi di fare carriera?

«Ieri sera è andata in onda su Rai 1, in prima serata, la nuova fiction “Ognuno è perfetto” diretta dal regista Giacomo Campiotti. Inizialmente il titolo mi aveva lasciato un po’ così, stavo costruendo io per prima un pregiudizio senza sapere realmente di cosa trattasse la serie, perché, per me, ognuno è prima di tutto persona. Le imperfezioni fanno parte dell’essere umano e sono bellissime perché ci rendono tutti differenti, per questo motivo il titolo non mi convinceva molto. Poi è iniziata la puntata e già dai primi minuti mi sono fatta catturare dai personaggi e dalla storia che ha subito toccato un tema importantissimo che mi riguarda (e che riguarda la maggior parte delle persone con disabilità) da vicino, il lavoro.

Il protagonista di questa storia si chiama Rick ha 24 anni, è un ragazzo con la sindrome di down, ed è stanco, da anni, di fare dei tirocini formativi e non poter avere un lavoro vero e proprio che gli dia il riconoscimento economico che merita e che dia la giusta importanza alle sue capacità ed al frutto del suo lavoro. Nella prima mezz’ora di messa in onda questa fiction ha subito toccato un tema importantissimo, molto spinoso ed ancora oggi molto oscuro che riguarda il mondo della disabilità. Noi ragazzi con difficoltà, nel frenetico mondo lavorativo, non rendiamo, non stiamo al passo con i tempi (perché abbiamo un tempo tutto nostro) e quindi dobbiamo continuamente dimostrare di essere all’altezza delle aspettative di chi questa occupazione, perché occupiamo il nostro tempo e dobbiamo anche essere grati di farlo, ce la trova.

Questa situazione fa sì che, spesso e volentieri, ci sentiamo frustrati, non all’altezza, depressi e che alla fine un aiuto, una spinta per cambiare le cose o un semplice ed importantissimo abbraccio di conforto lo troviamo dai familiari, dalle persone a noi vicine che ci vogliono bene e non dagli addetti ai lavori che, dall’altra parte della scrivania potrebbero portare davvero una visione nuova che faccia in modo che disabilità e mondo imprenditoriale si prendano finalmente a braccetto.

Perché la persona con disabilità non può permettersi di specializzarsi professionalmente e fare carriera? Perché spesso il tirocinio è un parcheggio dove dare un contentino per far sì che una persona pensi di essere utile? Perché si parla di rimborso spese e mai di vero e proprio stipendio? Come si può parlare di autonomia e di un dopo di noi se non si inizia a pensare ad un durante noi che costruisca ogni giorno forza e dignità della persona?

Alla fine Rick un lavoro lo trova, a tempo indeterminato, con un vero e proprio stipendio, in un reparto per persone con sindrome di down. Io la lotta la faccio ai luoghi per persone, che possano sempre più diventare luoghi di persone.

Ieri sera mi sono addormentata con il sorriso, spero che anche le prossime puntate me ne regalino altrettanti, ma, soprattutto che regalino una vera e propria visione nuova a chi può davvero far sì che le cose cambino, perché, noi categorie fragili, ma con tanta potenza, ne abbiamo una gran voglia ed un gran bisogno… che è un sogno doppio!».

Elena

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