Sanremo 2020, le pagelle della seconda serata

Il secondo appuntamento del Festival di Sanremo del 2020 è andato in onda ieri sera anche se, a parte la presenza del contestatissimo Junior Cally, con meno polemiche rispetto all’inaugurazione di martedì. Quello che non è mancato sono gli artisti dell’Emilia Romagna: da Elettra Lamborghini, una bolognese che ha conquistato anche il pubblico latino, all’ospitata di Zucchero. La Rai ha, inoltre, premiato il signor Roberto Poluzzi, un fedele abbonato dal 1954 di Casalecchio di Reno, a cui l’emittente ha regalato la prima fila all’Ariston e il soggiorno nella località ligure. 

Pagelle “Giovani”

L’estenuante seconda serata, che si è protratta quasi fino alle due di notte, segue lo stesso schema della precedente con il primo blocco dedicato ai giovani. Rispetto all’apertura di questa 70esima edizione, la selezione delle quattro canzoni, di cui solo due andranno alla finale di venerdì, è addirittura peggiore. 

A dare il La sono Gabriella Martinelli Lula con “Il gigante d’acciaio”, una canzone sulle ingiustizie del lavoro in fabbrica. Ricorda l’Emma Marrone di “Non è l’inferno”, brano vincitore di Sanremo 2012, e contiene lo stesso presunto impegno politico che è in realtà una strizzata d’occhio al populismo imperante. Le due, infatti, gridano: «Chi ci darà una risposta?». La canzone vorrebbe essere profonda, ma è un servizio di “Striscia la notizia” in musica. Voto: 2.

“Per sentirmi vivo” di Fasma è una ballata romantica in autotune, quell’effetto di distorsione della voce che è molto utilizzato tra chi fa musica trap. Il pezzo è un misto di rap e rock che, come si è visto dalla prima serata, e come si vedrà in seguito, è uno stile ricorrente in questo Festival. Nonostante le ambizioni di contemporaneità, Fasma riesce a scrivere dei versi come «Siamo uguali, opposti, con i cuori divisi». Manca il sole, ma il cuore e l’amore ci sono. Inutile dire che è il primo ad andare in finale. Voto: 3. 

Marco Santieri, con “Billy Blu”, presenta l’ennesima canzone a sfondo sociale. Il tema è, questa volta, il bullismo. È un ammonimento moraleggiante: si tratta di una predica su un bullo che viene salvato dal ragazzo da lui maltrattato. Il testo ricorda moltissimo quelle catene di Sant’Antonio che girano su Facebook e che puntualmente si rivelano delle bufale. Ovviamente passa il turno e lo rivedremo venerdì. Voto: 2. 

Tra le ragazzine degli anni Novanta andava molto di moda un giornaletto chiamato “Cioè”. Al suo interno la rivista ospitava una rubrica che pubblicava i dubbi amletici delle adolescenti come: “L’ho baciato, sono rimasta incinta?”. Prendete questo livello di imbarazzo, mettetelo in forma di canzone, e avrete “Nel bene e nel male” di Matteo Faustini. Basti sapere che il brano comincia con il verso «Hai mai fatto l’amore con gli occhi? Io sì», e poi non migliora. Voto: 1. 

Pagelle “Big”

Il turno dei big, più che qualitativamente inferiore rispetto alla prima puntata, risulta piatto. La sensazione è che Amadeus abbia tenuto i pezzi più deboli come riserva, trascinando all’inverosimile una serata che avrebbe messo alla prova anche Giobbe, e posizionando alcune delle canzoni più notevoli solo a tarda notte. 

Piero Pelù è diventato nonno, e tiene a farcelo sapere con la sua “Gigante”. Il testo è zuccheroso («Tu sei il mio Gesù, la luce sul nulla, un piccolo Buddha»), e viene inizialmente salvato dal solito rock elettrico della sua ex-band Litfiba. L’abisso viene raggiunto a tre quarti, quando Pelù canta «Ueee», una sorta di imitazione del vagito di un neonato. Al prossimo nipote, meglio farci solo un post su Instagram. Voto: 2. 

I riflettori erano puntati sulla bolognese Elettra Lamborghini, ereditiera del noto marchio di automobili, star dei reality show e cantante. Nella sua carriera musicale, Elettra si è distinta per i ritmi latini e per il twerk, uno stile di danza che consiste nell’agitare le natiche. Con “Musica (e il resto scompare)”, finalmente una traccia sciocchina, divertente e senza pretese, la Lamborghini è apparsa trattenuta, poco sfacciata e sostanzialmente addomesticata dal perbenismo del Festival. È un peccato, perché la sua canzone sarà, con ogni probabilità, una hit. Un accenno di twerk c’è comunque stato, e il suo look anni Settanta sembra un omaggio a Raffaella Carrà, un’altra celebre nativa di Bologna. Voto: 7. 

Enrico Nigiotti ha scritto alcune canzoni per Laura Pausini, e la sua “Baciami adesso” rientra pienamente in quello stile neomelodico che si sta avviando a un cupo tramonto. Il brano è insipido anche perché utilizza tutti i cliché possibili sia a livello strumentale, con l’immancabile schitarrata anni Ottanta, sia nel testo. «Ti leggo senza scrivere» e «Questo cielo che fa buio troppo presto», canta Nigiotti, privandosi così di ogni autocritica sulla sua scrittura, e riprovandoci a Sanremo per l’ennesima volta senza comunque riuscirci. Voto: 2. 

Tikibombom” di Levante risolleva i toni con un brano pop rock alternativo che sembra uscito dalla penna di Alanis Morissette o delle nostrane Carmen Consoli e Marina Rei. Il testo è un inno all’individualismo che esalta la diversità e critica equamente omofobia («Ciao tu, freak della classe / Femminuccia” vestito con quegli strass») e maschilismo («Troppo assorta, quella gonna è corta»). Levante è anche un animale da palcoscenico, capace di dominare la scena come pochi artisti di questo Festival. Se il testo fosse stato un po’ meno esplicitamente predicatorio e più strettamente musicale, sarebbe stato meglio. Voto: 7. 

Pinguini tattici nucleari debuttano a Sanremo con “Ringo Starr”, un indie pop allegro con una bella sezione di trombe che ricorda quelle delle bande, cosa che associata al titolo rende ancora più evidente l’omaggio ai Beatles. Pur avendo una potenzialità di crescita nei ripetuti ascolti, la sensazione è che queste cose siano già state fatte a Sanremo 2018 dal gruppo Lo stato sociale con “Una vita in vacanza”. Il pop indipendente italiano inizia ad essere un po’ ripetitivo. Voto: 6. 

Tosca torna al Festival con “Ho amato tutto”, una canzone quasi esclusivamente piano e voce dalle tinte melodrammatiche. Il livello interpretativo è tra i migliori di questa edizione e la canzone è volutamente retrò, ma risulta datata. L’intento è quello di essere elegante ad ogni costo, un fattore sottolineato anche dal suo look androgino, ma classicissimo, alla K.D. Lang. Voto: 6. 

Francesco Gabbani, in “Viceversa”, cerca di fare il brillante. Il brano, scritto con Pacifico, ha uno spirito anni Sessanta e non si risparmia nell’orchestrazione. I coristi fischiettano un motivetto, un chiaro tentativo di orecchiabilità e di nazional popolare. Gabbani pensa davvero di essere Domenico Modugno o Adriano Celentano, ma non ne ha lo stile, la personalità e le idee. La giuria demoscopica, forse per la stanchezza o per un’indigestione di funghi, ha pensato di posizionarlo al primo posto nella classifica finale dei 24 artisti in gara. Voto: 4. 

Paolo Jannacci, figlio del più noto Enzo, si butta a capofitto nella più scontata retorica sanremese con “Voglio parlarti adesso”. La canzone, composta prevalentemente da piano e voce, mantiene le infauste promesse del titolo. Jannacci si spertica in banalità e buoni sentimenti come “Là fuori c’è la guerra e dormi, adesso ci penso io a te” e “Ho visto piangere un gigante, figurati se non piango io”. Voto: 3. 
 
“Eden” di Rancore è una produzione di Dardust, che in questo Sanremo ha collaborato anche con Elodie nella bellissima “Andromeda”. L’estro del produttore marchigiano si sente distintamente anche in questo pezzo: beat, trombe, ritmi quasi tribali e campionamenti di spari di pistola arricchiscono un brano rap scritto con una lodabile astrattezza. Il rappato di Rancore è incredibilmente veloce e non sbaglia un colpo. Voto: 7. 

L’unica vera sorpresa della seconda puntata è lui, il più contestato di tutti: Junior Cally. Dopo le presunte accuse di misoginia rivolte da chi non è capace di fare un’analisi di un testo scritto, Sanremo l’ha “democristianamente” fatto esibire dopo l’una di notte. La sua “No grazie” ha un ritornello che si espanderà come un’epidemia, e l’arrangiamento non è da meno. I beat sono molto aggressivi, una marcetta quasi militare che assomiglia ad alcune produzioni di Trent Reznor. Ma non è tutto: Cally compie il dovere di ogni rapper, ovvero creare canzoni di protesta. Il testo comprende delle dichiarazioni piuttosto inequivocabili come «Dovrei puntare il dito contro / E fare il populista», a cui segue «Spero si capisca che odio il razzista / Che pensa al Paese ma è meglio il mojito» per poi esplodere nel «No grazie» del ritornello. Ma Cally riserva anche delle invettive per la visione liberista (da non confondere con liberale) di un certo centrosinistra. Sui social è già diventato una piccola sensazione, tanto che la pagina satirica di Facebook “Socialisti gaudenti” lo ha proposto come nuovo leader del Partito Democratico. Voto: 8. 

Siccome sembrava quasi tutto troppo bello per essere vero, arriva Giordana Angi a riportarci nella cruda realtà. La cantante uscita da “Amici” si presenta con “Come mia madre”, una canzone lacrima facile che, per chi soffrisse di qualche disturbo dell’attenzione, parla della mamma. Il testo, con i suoi patetismi («Hai custodito le mie insicurezze») è un po’ l’equivalente di un tema delle elementari. «Se un giorno sarò una mamma, vorrei essere come mia madre», canta Giordana Angi, trovando qualche difficoltà nell’uso dei sinonimi. Voto: 3. 

Michele Zarrillo chiude la serata mantenendo intatto il livello di mediocrità di questo secondo appuntamento. “Nell’estasi o nel fango” è leggermente più veloce rispetto ai suoi standard sanremesi, ma il falsetto del ritornello ricorda alcune cose di Mango e la canzone, nella sua totalità, assomiglia forse un po’ troppo a “Flying away (Occhi)” di Zucchero. Chitarre e percussioni non salvano dall’oblio un pezzo che non è né estasi né fango. Voto: 4. 
 
 

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