Quando l’agricoltura bio diventa anche inclusione sociale

«Rimettere al centro l’uomo significa dare a chiunque lavori nell’azienda agricola un senso di responsabilità rispetto all’attività che sta svolgendo. Il biologico riposiziona questo sapere al centro del processo tecnologico e ne rende tutti protagonisti». Si presenta con queste parole la cooperativa sociale agricola “Terraviva” che, ad Arezzo, dal 2011 offre a persone che soffrono di disagio la possibilità di un orientamento formativo e di inserimento lavorativo. L’ispirazione viene dalla cosiddetta “agricoltura sociale”, che si definisce come «l’insieme di pratiche in cui le comunità locali si fanno carico del disagio sociale e realizzano percorsi di promozione umana e di giustizia sociale mediante il contatto con le piante e gli animali».

Per l’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile sarà necessario, entro quell’anno, promuovere l’inclusione sociale. Nel suo territorio, “Terraviva” cerca di raggiungere l’obiettivo attraverso il metodo di coltivazione biologico, positivo sia dal punto di vista del servizio che si offre alla comunità (soprattutto per quanto riguarda la sicurezza alimentare) che perché risponde alla crescente domanda di prodotti bio. “Terraviva” ha quindi attivato una rete di sostegno per la distribuzione di frutta e verdura a kilometro zero, ha inserito nel lavoro persone con disagio e ha aperto un punto in vendita in loco.

Foto: Terraviva/Facebook

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