Probabilmente Giacomo Mussolini, nobile bolognese del Duecento, non avrebbe mai immaginato che, a più di cinquecento anni dalla morte, una via della città avrebbe portato ancora il nome della sua casata. Di sicuro, però, avrebbe riso se qualcuno gli avesse profetizzato che, negli anni ‘20 del Novecento, un suo discendente avrebbe governato l’Italia. Non si sbagliava: i Mussolini di Predappio hanno poco o nulla a che vedere con i corrispondenti felsinei. Ma spesso l’omonimia gioca brutti scherzi e, come in ogni vicenda in cui viene contraffatta la verità, a farne le spese è chi non c’entra niente.

I Mussolini di Bologna

Il Ventennio ha lasciato tracce di sé in ogni angolo della città: dallo stadio Renato Dall’Ara (al tempo Littoriale) con la Torre di Maratona, al palazzo Faccetta Nera, senza dimenticare l’attuale Questura di Bologna, la sede della Zanichelli, l’edificio del Liceo Righi, il monumento a Giosuè Carducci. Anche l’odonomastica è stata rivoluzionata dal regime: basti pensare che via Principe Amedeo (attuale Via Marconi) fu artificiosamente trasformata in via Roma nel 1932, e che via Libia è la superstite di un intero quartiere celebrativo delle imprese coloniali italiane.

Per singolare combinazione, a Bologna esisteva già da tempo – tra via Saragozza e via Capramozza – una via de’ Mussolini. Il nome nasce da una famiglia di sarti, di parte guelfa, insediatasi nelle vicinanze della via e i cui membri ricoprirono alcune cariche pubbliche tra XIII e XV secolo. I Mussolini scomparvero da Bologna nel Quattrocento, a causa della loro messa al bando da parte della fazione ghibellina.

La propaganda del Duce

La vicenda sembrerebbe finita qui, ma, si sa, la storia è un filo rosso rivestito di casualità – noi le chiamiamo coincidenze – che gli uomini amano interpretare. E così, nel 1924, quei Mussolini, scacciati da Bologna, si trovano a condividere il cognome con l’uomo più importante d’Italia. Quale occasione migliore per avanzare improbabili teorie sulle radici bolognesi di Benito Mussolini?

Così avviene. Nel 1924 un certo Pietro Silvani pubblica un articolo dal titolo Un antico cognome bolognese: Mussolini. La notizia desta scalpore, ma nonostante ciò viene accolta acriticamente dal pubblico. E quando, quattro anni più tardi, Mussolini scrive che la sua famiglia poteva vantare antiche origini bolognesi, ciò che fino ad allora era stata una “ipotesi” diverrà granitica certezza. Nella Bologna della “X Legio”, via de’ Mussolini diventa una formidabile arma di propaganda nelle mani del Duce.

Errori su errori

Da una simile confusione non poteva nascere nulla di buono. Dopo la caduta del Regime, il nome di quella via suscita, come è ovvio, grande imbarazzo fra i cittadini. Nessuno, però, perde tempo a verificare se le menzogne diffuse a mezzo stampa riguardo quell’odonimo corrispondano o meno al vero. Per questa ragione, nel 1949, una delibera del Consiglio Comunale vota per la sostituzione del nome della via. E, per aggiungere al danno la beffa, la nuova proposta, “Via dei Tessitori”, si fonda sul fraintendimento etimologico di Mussolini, che si pensava – a torto – derivasse da “mussolo”, un tessuto di cotone di origine mediorientale.

Oggi di questa ingarbugliata faccenda rimane molto poco: dei quattro cartelli stradali affissi agli estremi della strada, soltanto uno, seminascosto dall’edera, ricorda l’antico nome della via.  I dogmi di partito, siano essi di destra o di sinistra, rossi o neri, non possono che nuocere all’incessante ricerca della verità. Per la soggezione quasi sacra che un solo nome, Mussolini, è ancora in grado di incutere, da anni la città di Bologna ha un pezzo di storia in meno, e molto timore in più.  Ricordo di aver letto, sulla seconda di copertina del recente M. Il figlio del secolo, che l’autore si proponeva di “rifondare il nostro antifascismo”: spiace constatarlo, ma la sensazione è che, a 74 anni dalla sua morte, al centro del dibattito del nostro stanco, abusato e maltrattato paese, il protagonista rimanga sempre e soltanto Lui.

di Francesco Faccioli

un articolo a cura di Giovani Reporter

(La maggior parte di questa storia è magistralmente narrata da Mario Fanti, nel suo “Le vie di Bologna: saggio di toponomastica storica e di storia della toponomastica urbana”, Bologna: Istituto per la storia di Bologna, Bologna, 2000, pgg754 – 757)

Condividi