Così come nella seconda metà dell’Ottocento l’unico giornale stampato in quegli anni (la Gazzetta di Bologna) raccontò sulle sue pagine come Bologna fu flagellata dall’epidemia del Colera, così oggi sempre la Gazzetta di Bologna (online) racconta e descrive la situazione di emergenza sanitaria sul territorio dovuta al Coronavirus. Andando indietro di qualche secolo si possono trovare diverse analogie tra ieri e oggi. Come, ad esempio, che negli anni 1854-1855 Bologna fu flagellata da una terribile epidemia di cui i medici di allora non ne sapevano molto, non più di quel che avevano letto, in epoca classica, sui testi di Ippocrate e Galeno. Ovviamente le cose nel 2020 vanno in un diverso modo. La tecnologia è avanzata ma anche oggi capire la cura per il Covid-19 per i medici è una grossa impresa perché è un virus totalmente nuovo.
Ma l’epidemia che colpì Bologna nell’Ottocento all’inizio non aveva nemmeno un nome. «Si parlava, genericamente, di “Morbo asiatico” (come al solito) e solo dopo qualche caso conclamato, si poteva classificare l’epidemia come “Morbus cholerae” o semplicemente Colera. Il primo caso di contagio riconosciuto a Bologna è del 29 maggio, quando un ortolano di Massa Lombarda (paese sicuramente infetto) viene in città per assistere all’estrazione della Tombola. L’uomo 48 ore dopo muore di colera», si legge sulla pagina Facebook “Casalecchio, tutta un’altra storia” che ha postato l’aneddoto che riportiamo di seguito.
A quel punto, anche oltre due secoli fa, scattarono i provvedimenti sanitari, ma fu troppo tardi. La cittadinanza non si allarmò finché, il 9 giugno, non morì una donna. «Dal quel momento alla fine dell’anno il colera si diffonde a Bologna con un ritmo esponenziale, come denunciano le statistiche diffuse periodicamente dalla Municipalità. Intanto le notizie che, quotidianamente, arrivavano da Bologna terrorizzavano sempre di più i casalecchiesi, e ancor più quando la Commissione di Sanità, non sapendo come arginare l’epidemia, dovette ricorrere a ricoveri coatti dei colerosi nei Lazzaretti apprestati ai margini del centro urbano e nel territorio circostante. E appunto uno di questi Lazzaretti venne impiantato a Casalecchio. Nel 1855 i decessi balzarono improvvisamente a 7.071, dei quali 3.719 furono per cause naturali, diremmo “normali”, ma ben 3.368 per conclamato “Morbo asiatico”, cioè colera, il che significa un incremento del 100%.
Intanto a Casalecchio, visto lo stato gravoso dei fatti e la forte preoccupazione di tutto il paese, il cappellano della Parrocchia di San Martino, don Cesare Balboni, pensò che era giunto il momento di convocare i fedeli e suggerire a loro di affidarsi ad un potente Santo Ausiliatore (quei Santi che vengono invocati in caso di grave calamità).
Secondo don Cesare avremmo dovuto fare un voto a S. Sebastiano perché ci salvasse dal morbo. Lo stesso cappellano ha lasciato una memoria dei fatti, scritta di suo pugno e conservata nell’Archivio parrocchiale di San Martino. I casalecchiesi aderirono immediatamente e fecero il voto solenne. Dal 30 giugno 1855 al 29 settembre in paese si notò una netta flessione dei decessi (che furono solo 24, cioè la media usuale). Quindi tutti attribuirono il calo della mortalità all’intercessione di S. Sebastiano, pertanto decisero di organizzare una solenne funzione di ringraziamento.
Dal 1855 i casalecchiesi hanno tenuto fede a questo voto anche se, nel tempo, si erano perdute le ragioni storiche che lo avevano motivato. Si sapeva solo che S. Sebastiano aveva fatto una grande grazia al paese ma come e quando ormai non lo ricordava più nessuno. Per rispetto a questo voto, mons. Filippo Ercolani, quando la chiesa di San Martino di completamente ristrutturata (come oggi la vediamo) volle che il primo altare laterale a destra fosse dedicato proprio a San Sebastiano. Dopo mons. Ercolani, don Carlo Marzocchi proseguì l’antica tradizione; e non solo, nel 1954, dopo la distruzione avvenuta negli anni della guerra, volle ristrutturare i ruderi dell’Albergo Reno, area oggi corrispondente a via Marconi n.45 (palazzone fronte Dolce Lucia) per farne i locali di un Oratorio e un circolo giovanile dove i ragazzi di Casalecchio potessero incontrarsi.
E qui, in questo luogo di recupero, dopo anni di dolore e sofferenze, che la guerra aveva portato, un po’ come negli anni del colera, 100 anni prima, Don Carlo decise, per rispetto all’antico voto, di allestire una piccola Cappella e dedicato a San Sebastiano. Dopo Don Carlo, da metà degli anni ’80, il ricordo del Santo si affievolì, ma oggi grazie al nuovo parroco Don Roberto Mastacchi l’antico legame si è voluto recuperare».
Fonte: Parte del testo è stato tratto dall’opuscolo “La devozione a San Sebastiano nel territorio di Casalecchio di Reno” del Prof. Pier Luigi Chierici a cura della Parrocchia di San Martino.
foto: da Casalecchio, tutta un’altra storia