Bologna, come piace recriminare il più possibile ai suoi abitanti, d’estate è tremendamente afosa. Già dai primi giorni di giugno, quando gli studenti fremono sui loro banchi aspettando la campanella e i lavoratori si distraggono fantasticando su qualche atollo boreale, il caldo accende la città e ne riscalda le sere, che si prestano finalmente ad essere trascorse in giro per le vie e i viottoli del centro città in attesa del tardivo sopraggiungere della notte.

Sembrava una serata come tante a Bologna, quella del 12 giugno 1983: la memoria del misterioso e grottesco omicidio di Angelo Fabbri era ormai solo un ricordo sbiadito nelle menti dei bolognesi, persino in quelle dei suoi colleghi e compagni al DAMS, l’eccentrico centro della vita culturale e artistica bolognese. E infatti la giornata e la notte trascorsero tranquille e spensierate, all’apparenza: fu l’alba della mattina successiva a rivelarne l’orrore che vi si era privatamente consumato.

Your not alone any way

In un piccolo appartamento di via del Riccio, al numero 7, vicinissimo all’attuale succursale del liceo Minghetti e all’ITIS Pacinotti, viene ritrovato riverso sul pavimento, coperto da alcuni cuscini e una rosa deodorante, il cadavere martoriato di Francesca Alinovi, trentacinquenne proprietaria della casa, ora macchiata di sangue: il suo corpo è stato infatti stato lacerato da ben 47 coltellate. Sullo specchio del bagno una sgrammaticata quanto enigmatica scritta: “Your not alone any way”(qualcosa come “non sei sola/o in alcun modo/ad ogni modo).

La vittima, Francesca Alinovi, è una giovane critica d’arte, assistente universitaria del professor Barilli, docente del DAMS, ed ivi impiegata come ricercatrice di ruolo. Gode di grande fama e rispetto in quell’ambiente, ed è vista da molti come una “stella nascente”. Alla sua giovane età, si è già fatta portavoce di numerosi movimenti artistici e culturali, esplorando ogni ambiente culturale italiano alla ricerca di nuovi talenti. Ha viaggiato molto anche in America, appassionandosi all’arte dei graffiti e intervistando persino Keith Haring, con cui resterà sempre in ottimi rapporti.

La sua morte sconvolge il DAMS ancor più di quella di Angelo Fabbri, e alcuni iniziano già a chiedersi se vi possa essere un qualche nesso: le perizie e le indagini successive non faranno altro che alimentare queste voci. In primo luogo, dalla scena del delitto, già grottesca e misteriosa, emergono sempre più dettagli assurdi e poco spiegabili: in aggiunta alla posizione del corpo, il fatto che sia stato ritrovato vestito di tutto punto, giacca di pelle compresa (decisamente fuori luogo nel giugno bolognese). Al suo polso vi è un Rolex a movimento automatico, fermo, mentre delle 47 coltellate soltanto due sono fatali, inferte alla giugulare. A concludere il tutto vi è una traccia di sangue lasciata sull’interruttore della luce, come se l’assassino nell’uscire avesse spento la luce.

Le indagini

Su chi sia questo assassino nemmeno la giustizia italiana sa fare assoluta certezza. L’indiziato principale è anche il più ovvio: si tratta di Francesco Ciancabilla, pittore pescarese e studente del DAMS, con cui Alinovi aveva una relazione che secondo alcuni (fra cui il diretto interessato) era dai connotati prettamente platonici, mentre secondo la Procura e altre testimonianze, si spingeva ben oltre, almeno da parte di Alinovi. I due facevano inoltre notoriamente uso di sostanze stupefacenti e quella sera è attestato che si sarebbero dovuti incontrare per drogarsi insieme.

A spiegare il movente di Ciancabilla vi sono molteplici tesi, da un gioco erotico finito male, al più tradizionale delitto passionale (supportato dai racconti di amici, che descrissero la coppia come “tormentata”), passando anche per il più semplice delirio omicida indotto dalle sostanze che avevano assunto, tesi che spiegherebbe anche la non letalità della maggior parte delle coltellate. Il delitto sarebbe avvenuto attorno alle 18:30, dato ricostruito incrociando i risultati dell’autopsia con l’orologio fermo.

A ciò si aggiunse la telefonata avvenuta alle 19,30 fra Ciancabilla e un’amica, in cui affermava di essere ancora da Alinovi e chiedeva di incontrarsi poco dopo in stazione, interpretato come un disperato tentativo di crearsi un alibi, o quantomeno di fuggire ed essere, al ritrovamento del cadavere, in tutt’altro posto.

Dubbi e incertezze

Sono molteplici, tuttavia, gli elementi che fanno vacillare la versione ufficiale dei fatti, dalla traccia lasciata sull’interruttore (che non avrebbe senso se il delitto fosse stato commesso quando c’era luce), al fatto che Ciancabilla si sarebbe dovuto disfare dei vestiti sporchi del sangue di Alinovi e rivestirsi completamente, per poi attraversare il centro di Bologna fino alla stazione, con tempi ben poco chiari, nonché il fatto che successive analisi posero l’orario del delitto dopo le sette e mezza di sera.

Tutti questi elementi contribuirono al fantasticare popolare, che si divise fra chi sosteneva Ciancabilla e chi lo voleva vedere dietro le sbarre, arrivando anche a fischiare la sentenza di primo grado che assolse Ciancabilla per mancanza di prove. Ad accontentare il secondo partito giunse la sentenza in appello, che ribaltò la decisione di primo grado e condannò il giovane pittore pescarese in contumacia (egli si era dato alla latitanza in Brasile e poi in Spagna) a quindici anni. Catturato un decennio più tardi, egli ha ormai scontato la sua pena, e mentre almeno ufficialmente giustizia è stata fatta, Bologna continua a mormorare nell’ombra che quello avvenuto in via del Riccio, forse, non fu un caso isolato, ma la seconda macabra opera di un misterioso autore, il secondo dei delitti del DAMS.

di Iacopo Brini

un articolo a cura di Giovani Reporter

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