Via Centotrecento, una passeggiata tra i racconti di un vecchio diario

Nascosta tra via delle Belle Arti e via Irnerio come un bambino dietro la sua mamma, via Centrotrecento costituiva, un tempo, un paesino a sé. Ricordo le storie di mia nonna su quella via sempre così affollata: la lattaia sbadata, l’affascinante fattorino, il barbiere all’angolo e quelle vecchie zdaure che osservavano il viavai dalle finestre. Sfogliando un vecchio diario, mi divertivano le imprese quotidiane di un mondo celato a chi non aveva la chiave per entrarvi. Ben pochi sanno, infatti, che, come Giovanni Boccaccio e le sue cento novelle, anche questo piccolo cuore pulsante del centro storico bolognese racchiude favole sempre nuove per chi è disposto ad ascoltarle.

C’era una volta…

La prima storia che si racconta è quella di un uomo, un tal Cento di Filippo Trecenti, che risiedeva proprio in questa via. Secondo la tradizione, la sua casa si trovava in un punto d’intralcio per la comunicazione con Borgo della Paglia − oggi via delle Belle Arti − e, quando morì di peste nel 1383, l’abitazione fu rasa al suolo per ristabilire questo collegamento. Per mantenere la sua memoria, però, la via ne acquisì il nome. Tuttavia, non ci sono prove né della sua esistenza né dell’esistenza di famiglie che portassero il cognome “Trecenti” a Bologna. Perciò, la storia è destinata a rimanere solamente una favola.

Voltando pagina, troviamo nella testimonianza di Giovanni de’ Zanti un altro racconto. Il protagonista, questa volta, è un tal Artfan (Artsan) che aveva comprato in questo borgo una casa per duecento lire, ovvero la differenza tra trecento e cento. Da questa vicenda, poi, la strada avrebbe ereditato l’appellativo. Purtroppo, non è possibile testarne la veridicità, poiché, come riporta Giuseppe Guidicini nella sua opera, il nome non fu unico, anzi, furono molteplici. In molti scritti, dal 1430 al 1496, infatti, il nome spazia da “cento Traxende” a “Cento Trasiende” fino a “le Cento Traxende”. Solo nel 1605 compare “Cento Trecento” , da cui, poi, nel 1843, “Centotrecento”, odonimo che è rimasto fino ad oggi.

Il racconto ad oggi più accreditato è legato proprio al termine traxende o trasende − seppur anche in questo caso l’etimologia non sia certa −, che indicava piccole finestrelle utilizzate nella regolazione dei flussi d’acqua. Centotrecento era, infatti, attraversata da molti canaletti derivati dal Canale di Savena; perciò, secondo la tradizione, per regolarne l’andamento, gli abitanti costruirono cento di queste finestrelle. Sarà vero? Non possiamo saperlo. Non ci resta che scegliere se chiudere il libro e non leggere più racconti, o continuare a sfogliare le pagine e scoprirne di nuovi.

…E vissero felici e contenti

Tra il 2010 e il 2012, Centotrecento, grazie al progetto LSP (luoghi di sosta pedonale), torna ad essere una strada viva dove grandi e piccini possono, dopo tanto tempo, giocare e ritrovarsi. Gli abitanti, infatti, hanno allestito delle “micro-piazze” lungo la via per incontrarsi, conoscersi, giocare a carte o far divertire i bambini. Un’iniziativa volta alla socializzazione e alla riqualifica della via, un progetto fresco, promosso da giovani e accolto con entusiasmo. Sono stati momenti di condivisione tanto importanti che non sono passati inosservati: il Comune di Casalecchio, infatti, nel 2012, ha deciso di attribuire loro il riconoscimento “la città dei cittadini”.

L’esempio di questa piccola realtà immersa nella Bologna universitaria trasmette i valori della solidarietà e della familiarità che un tempo erano scontati per i suoi abitanti. Ci auguriamo che, presto, questo progetto possa coinvolgere altre vie e permettere ad altri cittadini di ritrovare un luogo di incontro e di scambio, in una città ormai sempre più invasa dalle macchine, dal traffico e dallo smog. Affinché quel passato così vivo non rimanga solo il riflesso di un’infanzia passata a camminare sui tetti della piccola via Centotrecento.

di Arianna Solmi

un articolo a cura di Giovani Reporter

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