Pallavolo Bologna a tinte rosa, piccoli passi verso la sostenibilità sociale

Intervista sul tema del “gender gap” a Elisabetta Velabri, presidente di Pallavolo Bologna, realtà della pallavolo bolognese che riunisce sotto un’unica bandiera ben 7 Società del territorio.

La discriminazione legata al sesso ancora esiste, sia nello sport che nei contesti lavorativi, ma la società sportiva  Pallavolo Bologna, fin dagli albori, è nata con un’impronta rosa, con l’obiettivo di poter portare alla città un modello di organizzazione e gestione inclusivo che sappia mettere sullo stesso piano la professionalità di uomini e donne. Elisabetta Velabri, presidente di Pallavolo Bologna, è al timone da quando la società da piccolo granello si è trasformata in un’operazione concreta ed è con lei che approfondiamo il tema del gender Gap. Un obiettivo perseguibile per raggiungere, o quanto meno avvicinarsi, alla sostenibilità sociale.

Cosa significa essere la presidente di una squadra maschile?  «Non dovrebbe esserci differenza che a guidare una società sia un presidente o una presidente, ma realisticamente non è così. È una sfida, un modo per portare il proprio personale apporto al cambiamento». 

Lo staff di pallavolo Bologna è composto almeno per il 50% da donne, quale è il valore aggiunto di una società a quote rosa? «Sembrerà scontato, ma è la prospettiva diversa con cui le donne vedono le cose. Ritengo che la diversità sia potenzialmente ricchezza e opportunità. Detto questo è importante che la dirigenza sia poi capace di fare sintesi per portare a casa l’obiettivo». 

Cosa possono portare al mondo dello sport le donne che ricoprono ruoli dirigenziali? «Diversità, tenacia, passione e soprattutto la capacità di fare rete anche in modi non convenzionali». 

Raggiungere la Gender equality è uno degli obiettivi che si pone la Agenda Onu2030 per raggiungere la sostenibilità sociale in azienda. Cosa credi sia necessario fare per accelerare questo processo? «Lo sappiamo bene che le donne continuano ad avere un ruolo marginale nella sfera decisionale e di leadership nello sport, dovute soprattutto a pratiche culturali, atteggiamenti e stereotipi di genere. Credo che queste barriere possano essere superate mettendo in campo azioni che “facciano cultura”, iniziando dal linguaggio di genere, formando i nostri e le nostre dirigenti, i nostri staff tecnici sulla tematica, proponendo iniziative mirate per i nostri atleti e le nostre atlete. Adottando, come società, pratiche etiche, come ad esempio l’adesione alla carta etica per lo sport». 

Credi che le cariche dirigenziali nel mondo dello sport siano ancora un tema prettamente maschile? «Decisamente! forse lo sport non è “maschilista” ma decisamente è “maschile». 

Ma ora veniamo al tuo ruolo, di cosa ti occupi operativamente? «La mia carica si divide in due macro-aree. Sono amministratore unico della parte contabile e burocratica, e presidente della parte che potremo definire “politica” e di relazione, dei progetti e dei bandi. Ma ci tengo a sottolineare che le decisioni importanti le condivido con la mia dirigenza. Se posso vantarmi, sono stata brava a scegliere il mio staff su cui poter fare affidamento». 

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