Revenge porn, video intimo diffuso da un suo amico sui gruppi del calcetto: la storia di una studentessa dell’Unibo 

La ragazza, allora 18enne, ha raccontato oggi alla Gazzetta di Bologna la sua storia di revenge porn per cui si è vergognata per anni e che solo ora ha deciso di raccontare. 

«In parte è colpa tua perché quando mandi questi video devi essere consapevole della possibilità che vengano fatti girare, dovevi pensarci prima». È la frase che una ragazza romagnola di appena 18 anni (ora studentessa universitaria a Bologna) lesse in un messaggio inviatogli da quel suo “amico” (di cui si fidava molto) a cui aveva mandato un video intimo e personale senza dargli alcun consenso di inoltrarlo ai suoi amici. Ma così non fu. Il giovane amico, fregandosene del fatto che condividere senza consenso un video intimo privato è reato, lo inviò sui gruppi Whats App del calcetto. Forse per paura di aver fatto una cazzata, non ammise di averlo inviato personalmente. Si giustificò dicendo che un suo amico gli rubò il cellulare, lo vide e lo inviò sui gruppi Whats App. 

La vittima, che ora ha 21 anni e studia all’Unibo, ha raccontato oggi l’episodio alla Gazzetta di Bologna con ancora l’imbarazzo vissuto in quel momento. «Mi ha fatto vergognare così tanto da non uscire più molto la sera, addirittura ho dovuto cambiare città perché non riuscivo più a vivere lì. Ero depressa, mi sentivo inadeguata, tremavo quando dovevo andare nei posti perché tutti sapevano, tutti mi guardavano con quello sguardo inquisitorio e giudicante», racconta la studentessa che, per privacy, non vuole dire il suo nome.

Solo oggi, la ragazza ha capito che il problema non era lei. «Chi non ha mai mandato una foto a un ragazzo con cui si frequentava?», si chiede la studentessa. In effetti, non c’è nulla di male in questo. Il male, o meglio il reato, è in quel qualcuno che inoltra il video (o la foto) a qualcun altro senza permesso. Chi inoltra foto, video o conversazioni intime che dovrebbero restare privati rischia fino a 6 anni di carcere e 15mila euro di multa. «Non è reato solo divulgare per primi e senza consenso i video intimi di una persona. Ma anche conservare quei video e inoltrarli a propria volta», ricorda l’avvocata residente a Bologna Cathy La Torre in un suo post su Facebook per un episodio simile successo nei giorni scorsi a Brescia.

«Io purtroppo non ho fatto una denuncia perché pensavo che la colpa fosse stata mia perché l’avevo mandato», dice la 21enne che ha deciso ora di parlare della sua esperienza personale. Scoprì di essere stata “usata” dal quel “bell’amico” mentre era in biblioteca a preparare la maturità. A un certo punto il suo cellulare impazzì di messaggi. Cominciarono a scriverle tantissime persone. Ricevette in 10 minuti 400 richieste di amicizia. Più decine e decine di messaggi. Gente che aveva guardato quel video che sarebbe dovuto restare privato. «Mi scrivevano da tutta l’Emilia-Romagna chiedendomi se fossi io e non sapevo cosa rispondere e se ammettere o negare», racconta la studentessa. Lei non ha voluto parlarne più di tanto ma persone amiche le hanno consigliato di farlo. «Dovremmo parlarne di più per riflettere su quanto possa far male una persona con un semplice click», conclude la studentessa dell’Unibo. 

Condividi