La lunga lotta dei Rider, in attesa di una risposta dal governo le aziende minacciano il cottimo 

Sfrecciano in sella sulle loro bici o sui loro motorini per la città. Portano pizze, panini e anche tortellini in brodo nelle nostre case. Sono i riders, o tradotto in italiano, i ciclofattorini. Da almeno tre anni, lottano per i propri diritti, per migliori condizioni di lavoro, per l’assicurazione e per il passaggio ad un contratto di lavoro subordinato. Da allora di passi se ne sono fatti tanti ma, come ha ricordato l’assessore al Lavoro di Bologna, Marco Lombardo, ospite ieri alla scuola di politica “Politica è” «manca ancora il lieto fine a questa storia». Una vicenda quella dei riders che ha portato alla firma di una Carta in Comune che avrebbe dovuto portare a tutele e diritti, ma che si è nutrita solo di promesse, per ora disattese, e di rinvii da parte del governo. Ora quella Carta, che è di fatto il primo accordo in Europa tra lavoratori, sindacati, aziende e istituzioni per regolare gli effetti della “gig economy” (economia dei “lavoretti”), rischia di far retromarcia a causa della volontà da parte di alcune aziende di consegna cibo a domicilio di reintrodurre il cottimo, ovvero la retribuzione in base al numero di consegne.  

«Il primo passo – ha spiegato Tommaso Falchi, portavoce dei riders bolognesi- è stata la nevicata di due anni fa, nel 2017, quando in blocco ci siamo rifiutati di lavorare. Quel giorno le piattaforme hanno dovuto sospendere il servizio». Sono anni oramai che le applicazioni digitali per ordinare il cibo fungono da intermediario tra il cliente e il negoziante, ma queste piattaforme si occupano anche della scelta del riders in base a quelli geolocalizzati nelle vicinanze. A Bologna sono 6 o 7 le “aziende piattaforma” e al di sotto ci sono almeno 500 fattorini con contratti a prestazione occasionale o co.co.co.. 

«Quando sono diventato assessore – ha spiegato Lombardo – ho voluto mettere ad un tavolo i ciclofattorini, le piattaforme e i sindacati. Ne è nata la “Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano”». L’accordo, firmato nel maggio 2018, è valido per la città metropolitana di Bologna e, anche se è stato firmato da Sgnam, la piattaforma più diffusa in città, e da Mymenù (le quali si sono poi fuse, e a cui si è aggiunta recentemente Dominos’pizza), i colossi di JusteatGlovo e Deliveroo non l’hanno firmato. La Carta definisce standard minimi di tutela che si applicano a tutti i lavoratori e collaboratori operanti all’interno del territorio della Città metropolitana di Bologna. Le aziende che hanno aderito devono comunicare al rider informazioni circa la propria identità, la data di inizio, la durata prevista e le modalità di pagamento. Il compenso non può essere inferiore a quello imposto dal contratto collettivo nazionale a cui fa riferimento e viene riconosciuta un’indennità a chi lavora con la pioggia.  

Una mossa, quella del Comune, che non è rimasta in sordina. «Dopo una settimana dalla firma della Carta – continua Tommaso Falchi– mi ha chiamato il ministero del Lavoro. Ci è stato poi detto che sarebbe stata firmata una legge». Il governo ha bybassato il Comune di Bologna e si è rivolto direttamente ai riders. Secondo l’assessore, «il Pd nazionale non ha difeso l’operato di Bologna e si è fatto scippare dal Movimento 5 stelle». Falchi è stato ospite del ministro del lavoro, Luigi Di Maio, e da allora le promesse si sono ripetute.  

«Ci è stato detto che si sarebbe fatta una legge, che un emendamento sarebbe stato inserito nel decretone “quota cento” e “reddito di cittadinanza”, ma di questo non c’è traccia. Ci è stato poi detto che sarebbe stato inserito nella proposta di legge sul salario minimo ma vedremo come andrà». I riders rimangono dubbiosi sull’operato del governo e i dubbi aumentano invece che diminuire dopo che si è scoperto che la piattaforma Deliveroo ha sponsorizzato eventi della Casaleggio associati, la società privata del guru del Movimento 5 stelle Davide Casaleggio. 

 

Foto: da Facebook

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