Alpini, Non Una di Meno Rimini consegna le testimonianze di molestie al sindaco

Il movimento transfemminista Non una di meno Rimini ha consegnato al sindaco Jamil Sadegholvaad un plico con la stampa di circa 500 testimonianze delle presunte molestie avvenute da parte degli Alpini come azione simbolica.

C’è un numero che pesa come un macigno sul cuore ed è quello dei racconti delle molestie subite a Rimini durante l’Adunata degli Alpini. Nella mattinata di ieri, il movimento Non una di meno Rimini ha consegnato al sindaco Jamil Sadegholvaad un plico con la stampa di circa 500 testimonianze di molestie, avvenute tra il 5 e l’8 maggio nella città romagnola, come azione simbolica per chiedere una risposta da parte dell’amministrazione comunale. I fatti dei giorni scorsi parlano chiaro. Secondo le associazioni femministe dimostrano come la realtà che ci circonda sia lo specchio di una cultura machista.Fenomeni come il cat-calling, le strattonate e i fischi, sono alla base di una piramide della violenza di genere che restituisce la retorica della donna fragile.

Ma cosa succede quando l’eroe con la piuma in testa si rivela il cattivo della storia? Accade che l’opinione pubblica si divide tra chi li condanna e chi li giustifica.

«Io credo si stia esagerando quando si fan passare battute e scherzi per qualcosa che non è né molestia, né mancanza di rispetto» e ancora «trovo ingiusto dover dipingere una manifestazione pacifica e solare facendola passare per un insieme di bestie e morti di figa»: sono sono solo due dei tanti messaggi lasciati sotto le diverse testimonianze di giovani donne molestate durante i giorni dell’Adunata. Il senso è chiaro, sono le donne quelle esagerate, sono «povere cretine penose acide e tristi» come si legge in uno dei commenti sotto al post di Matteo Salvini in merito alle molestie avvenute a Rimini.

Eppure, la cultura dell’abuso e della minimizzazione ferisce noi tutti come esseri umani. Su questa ferita sempre aperta nasce la volontà da parte di Non una di meno Rimini di dare fiducia e di creare uno spazio sicuro in cui sviluppare forme di sostegno, ascolto e solidarietà. Anche perché non dobbiamo dimenticare che denunciare è difficile. Come ci viene raccontato dal collettivo di Rimini: «Se una donna viene molestata o le viene fatto cat-calling per strada e il giorno dopo i suoi coetanei o colleghi minimizzano ciò che è successo è molto più difficile andare a denunciare». Difficile è anche risalire ai molestatori che spesso agiscono in gruppo e in casi come questi si confondono con la folla. Ed ecco che ancora una volta le vittime rimangono sole, abbandonate dalle istituzioni sociali che giocano questa partita solo sul piano giuridico, lasciandoci così una sensazione di amaro in bocca. 

Una nota positiva però c’è e la si sente nella voce squillante di Alice, militante del collettivo, che riporta con un certo entusiasmo l’approccio delle nuove generazioni che sanno oggi riconoscere, raccontare e denunciare questo sistema di molestie e che vogliono farci sperare d’essere il primo passo di una rivoluzione culturale della società. 

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