Arriva a Palazzo Poggi una nuova mostra, frutto dell’attività di ricerca portata avanti dall’Istituto Ortopedico Rizzoli e il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna.
Si chiama “Paleotac. La tecnologia medica riscrive la paleontologia” ed è una mostra che arriverà al Museo di Palazzo Poggi in via Zamboni a Bologna frutto di una collaborazione tra l’Istituto Ortopedico Rizzoli e il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, nell’ambito della ricerca paleontologica che ha portato a un importante risultato. Il punto di partenza è stato un quesito: “E’ possibile, utilizzando una Tomografia ad Alta Risoluzione, ricostruire nel dettaglio il cranio di un fossile del Paleozoico, racchiuso all’interno di una concrezione rocciosa?”. Il fossile proveniente dal Sud Africa, oggi si trova presso la Collezione di Geologia “Museo Giovanni Capellini”, portato dal grande paleontologo Michele Gortani nel lontano 1929. Sul lato della diagnostica per immagini, la sfida era quella d’indagare, utilizzando le potenzialità di un dispositivo innovativo, un oggetto in buona misura ancora misterioso, di cui non si conoscevano con precisione i dettagli anatomici.
Soprannominato Bonnie, il reperto diventa il caso studio perfetto per una tecnologia che negli ultimi anni ha contribuito a riscrivere quello che sappiamo sulla vita nel passato: la TAC. Quella che sembrava una roccia rivela i minimi dettagli di un animale vissuto 250 milioni di anni fa. Non solo l’aspetto e la forma delle sue ossa, ma anche elementi impossibili da vedere come il cervello, i nervi, le cavità per la respirazione e piccoli denti nascosti nelle mandibole. Ci sono pochi dubbi sulla sua identità: Bonnie è un Lystrosaurus.
Per l’analisi di Bonnie è stato utilizzato un tomografo computerizzato (TC) di ultima generazione con tecnologia Gemstone Spectral Imaging (GSI), una nuova applicazione a doppia energia. In questo modo vengono acquisite informazioni incredibilmente accurate sulla densità degli oggetti e le differenze di densità (come ad esempio roccia-osso, roccia-dente) sono poi usate per distinguere e identificare le diverse componenti dell’oggetto. Le nuove tecnologie permettono di indagare i reperti fossili nelle tre dimensioni con una risoluzione mai ottenuta prima. La TC a raggi X fornisce un mezzo non invasivo per studiare l’interno e l’esterno degli oggetti, per garantire misurazioni accurate delle morfologie interne e per ottenere una registrazione digitale duratura, che può essere messa a disposizione della ricerca, della didattica e della divulgazione.
Una volta eseguita la scansione TC, è stato necessario procedere all’identificazione puntuale dei vari tessuti, andandoli a cercare e digitalizzare “fetta per fetta”, la cosiddetta procedura di segmentazione; software speciali a disposizione del Rizzoli aiutano a fare questo, e sovrappongono al termine del processo tutte le fette per ricostruire il vero e proprio modello 3D finale, separando così roccia, osso e denti. Solo a questo punto si è pronti per la stampa, potendo infatti associare a ogni tessuto 3D materiali e colori. Grazie all’alta tecnologia di Energy Group di Bentivoglio, l’azienda che ha eseguito la lavorazione, e dopo 16 ore ininterrotte di stampa, si sono ottenuti i modelli esposti, che con la trasparenza della roccia rivelano finalmente il contenuto misterioso della concrezione, nascosto al mondo per milioni di anni. La scansione TC e la ricostruzione 3D di Bonnie rappresentano un esempio di come queste tecnologie consentano ai paleontologi di farsi strada nella comprensione dell’ecologia, dell’evoluzione e dello sviluppo degli organismi che si sono succeduti nella storia del pianeta con un approccio non convenzionale.
Il maggiore ostacolo alla ricerca paleontologica è stato, fino ad oggi, l’estrazione dei fossili dalla loro matrice rocciosa. Il metodo che si utilizza normalmente è quello della preparazione meccanica che rimuove la roccia o in casi molto rari sfruttando le differenze chimiche tra fossili e roccia. L’uso della TC con doppia energia permette di lasciare inalterato il reperto fossile e di studiarne ogni componente anche piccolissimo e isolato incluso l’“interno”, ovvero le parti che anche dopo una preparazione accurata non sarebbero visibili.
Fonte. Università di Bologna