Via tutte le barriere architettoniche dal centro di Bologna, la proposta del “Progetto Rampe”

Abbattere entro l’anno gli scalini del centro città, dotando l’ingresso di bar e negozi di una rampa d’accesso permanente, «non sarebbe solo un gesto di cura verso il prossimo. Piuttosto, sancirebbe la fine definitiva di una grande discriminazione che, al momento attuale, lede i diritti universali della persona con abilità differenti». È il sunto del “Progetto Rampe”, la proposta di moltissime associazioni bolognesi che da molto tempo si occupano di tutelare e portare all’attenzione le esigenze delle persone con deficit motorio in città e non solo. Chiedono che il Comune di Bologna prenda il timone delle operazioni di adeguamento degli accessi degli esercizi aperti al pubblico, cooperando con i privati nell’interesse pubblico nel più breve tempo possibile. In più, fornisca sia consulenza (attraverso tecnici preparati), sia incentivi agli esercenti che, così, non si troverebbero da soli con il peso economico di una ristrutturazione del proprio locale. 

Le soluzioni adottate dovranno essere permanenti perché, spiegano le associazioni di categoria, un’attività commerciale che necessita di chiamata o soccorso all’ingresso da parte di terzi, non potrà mai garantire autonomia e parità per tutti. Nel caso la rampa non possa essere fissa, magari per la mancanza di spazio all’entrata, dovranno comunque sempre essere preferite soluzioni non soggette alla chiamata. 

I firmatari della proposta sono concordi nel ritenere che, in questi anni, il Comune abbia attuato (con il PUMS, il Piano Urbano di Mobilità Sostenibile) un grande passo avanti nella gestione dell’emergenza legata all’accessibilità dei luoghi. Ma, allo stesso tempo, sottolineano che «la crescente libertà di muoversi nel suolo pubblico ha un impatto molto limitato se tramite quei percorsi non si può raggiungere quasi nessun luogo». E continuano: «per farsene un’idea, basta immaginare che all’improvviso tutti i locali con gradino chiudano le saracinesche: ci troveremo in una specie di città fantasma».

Abbattere le barriere architettoniche agli ingressi vuol dire anche fare i conti con la modifica di un patrimonio artistico unico, che conta 42 chilometri di portici solo nel centro storico. Ed è lo stesso Comune a cogliere la difficoltà del progetto: «Questa caratteristica architettonica di Bologna rappresenta una delle più grandi sfide dal punto di vista dell’accessibilità. Tuttavia la città è pronta ad affrontare questa sfida sapendo che l’accesso al Patrimonio è una questione imprescindibile», scrive nel suo rapporto finale di Settembre dal nome “Bologna oltre le barriere”. Il punto, però, non è riuscirci. Ma, per le associazioni, farlo nel minor tempo possibile. In pratica, Bologna vincerà la sfida sull’accessibilità (e forse anche il premio europeo di Città accessibile 2021) solo se si impegnerà con velocità a scalare gli ultimi gradini della sua battaglia per l’uguaglianza di tutti. E tutti sono anche quei quasi 22 mila e mezzo che a Bologna camminano a rotelle, o hanno difficoltà di orientamento. E la cifra tenderà a salire da qui a dieci anni, secondo i dati dell’amministrazione comunale, almeno di 100 unità. 

L’accessibilità è un diritto universale sancito dalla legge (la L. 67/2006). La sua inottemperanza produce una discriminazione indiretta «quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutro mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone». In questo senso, il gradino all’ingresso di bar e negozi si tradurrà sempre in una latente discriminazione, che limita la persona e rende impossibile l’inclusione di tutti alla vita della città. 

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