Il Festival di Sanremo del 2020 è iniziato ieri sera e come da copione sono cominciate le critiche, le polemiche ma anche le sue lodi. La 70esima competizione canora più importante del nostro Paese ha compreso una buona dose di Emilia Romagna con il giovane Fadi, che ha cantato di Bologna, e con un pezzo scritto da Vasco Rossi cantato da Irene grandi. Una presenza dell’Emilia-Romagna che si ripeterà anche nella seconda puntata di questa sera con la partecipazione della bolognese Elettra Lamborghini. 

I voti ai “Giovani”

La prima ora è stata dedicata ai giovani, una scelta televisivamente suicida che non solo ha allungato un brodo di per sé già diluito, ma si è anche presa il rischio di far fuggire gli spettatori con quattro pezzi mediamente deboli. I due vincitori si aggiungeranno ai finalisti della seconda serata e si sfideranno per la vittoria durante la serata di venerdì.

Gli Eugenio in via di Gioia inaugurano il Festival con la loro “Tsunami”. Le faccette strambe del cantante e il suo cappellino giallo da pescatore puntano a conquistare il pubblico con la simpatia. La canzone, pur essendo un art pop insolito per il Festival, cerca disperatamente un’orecchiabilità tramite il «cha cha cha» del testo, non trovandola fondamentalmente mai. Voto: 5.

L’ “8 Marzo” di Tecla è ovviamente una canzone sulle donne, un tema che ha accompagnato con vari accenti tutta questa prima puntata. Anche il pezzo è un po’ troppo ovvio: un tripudio di retorica che è tutto un susseguirsi di «dal dolore si può trarre una lezione» e di romanticismi a buon mercato come le «candele nella notte». Il cantato di Tecla somiglia molto a quello di Arisa, ma senza averne l’estro vocale. Melensa. Infatti è stata la prima a passare il turno. Voto: 3.

Il romagnolo Fadi, accompagnato da solo voce e chitarra, canta in “Due di noi” di un amore vissuto per le «strade di Bologna». È un cantautorato romanticheggiante e malinconico in stile Roberto Vecchioni, ma non particolarmente memorabile. Fadi ha salutato il pubblico con un simpatico «Viva la Romagna, viva il Sangiovese!». Voto: 6.

Leo Gassman, figlio dell’attore Alessandro e nipote di Vittorio, gioca facile con “Vai bene così”, una tipica canzone sanremese. La traccia cerca un’originalità solo verso la sua conclusione con la ripetizione della parola «asimbonanga», che in lingua zulu significa “non l’abbiamo visto”. L’improvvisa digressione etnica vorrebbe essere un omaggio a Nelson Mandela: il cantante Johnny Clegg aveva scritto un pezzo con un titolo omonimo dedicato al leader sudafricano. L’interpretazione di Leo Gassman è svociata e senza particolare convinzione. Tuttavia, la giuria demoscopica l’ha ritenuto degno della finale. Voto: 4.

I voti ai “Big”

Il Festival viene formalmente aperto da Irene Grandi con l’energica “Finalmente io”. La canzone è scritta da Vasco Rossi, e si sente. Non è, però, il Vasco degli ultimi quindici anni che ha composto pezzi solo con l’ausilio delle vocali («E, uoh, e», cantava in “E…”). Il cantautore di Zocca sembra essere mediamente ispirato, e regala a Irene Grandi una buona canzone rock sull’autoaffermazione che lei sa interpretare a dovere. Voto: 7.

Marco Masini sembra non evolversi mai. “Il confronto” può essere un suo qualsiasi pezzo presentato a Sanremonegli ultimi dieci anni. È la solita apologia sulla crisi della mezza età: Masini è il Gabriele Muccino della musica. La canzone, composta inizialmente da piano e voce seguita da un’orchestra sovrabbondante, lascia spazio al solito turpiloquio dell’autore («E sei stato uno stronzo quando lei ci credeva»). Masini vorrebbe essere il Brunori Sas de “La verità”, ma senza la stessa potenza narrativa. Stanco. Voto: 4.

Rita Pavone torna in gara dopo 40 anni con “Niente (Resilienza 74)”, una canzone che vorrebbe essere un inno alla tenacia della terza età ma è, invece, solo un rock geriatrico in cui le parole non sono scandite in modo comprensibile dalla sua interprete. In un episodio de “I Simpson” il nonno finiva sui giornali in un articolo intitolato “Anziano urla alle nuvole”. Il livello è più o meno quello. Voto: 2.

Achille Lauro è l’unico artista in questa prima serata ad avere il senso dello spettacolo. Si presenta con una tunica ricamata, che il cantante toglie quando la canzone prende velocità. Lauro rivela, così, un body attillato, glitterato e semitrasparente. “Me ne frego” è un originalissimo e riuscitissimo pop rock che occhieggia sia a Britney Spears che al Marilyn Manson di “Beautiful people”, senza tralasciare il solito David Bowie. Il titolo è un famoso motto di Benito Mussolini, che associato a una performance con ammiccamenti sfacciatamente omosessuali rivolti sia al compare Boss Doms che al pubblico, si rivela come un gesto puramente punk. La giuria demoscopica, con l’appoggio di una platea di mezza età con il cellulare perennemente in mano, non ha apprezzato, piazzandolo a un ingiustificabile nono posto. Su Twitter è stato acclamato, invece, come il vincitore della serata. Voto: 9.

Diodato, con “Fai rumore”, porta un tipico brano festivaliero dal classico ritornello in crescendo. Non è un caso che il cantautore sia adorato da un’icona del calibro di Mina, che utilizza spesso questa struttura musicale ma con ben altra maestria. “Fai rumore” è, nel migliore delle ipotesi, musica da ascensore. Voto: 3.

La giuria demoscopica ha fatto vincere la prima serata a Le vibrazioni con la loro “Dov’è”. Il pezzo presenta i consueti giri di chitarra anni Settanta, e l’esibizione è accompagnata da una traduzione simultanea per i non udenti nella lingua dei segni. Il ritornello, che consiste nella ripetizione di «La gioia dov’è», ricorda il trito tormentone di internet “Mai una gioia”. L’unico merito di questa canzone più che dimenticabile è di aver riportato Beppe Vessicchio al Festival. Voto: 4.

Come Laura Palmer in “Twin Peaks”, anche Albano e Romina sono tornati a Sanremo dopo 25 anni. L’esibizione non è cominciata nel migliore dei modi, con Albano che è inciampato scendendo le scale dell’Ariston. Poi è proseguita con un medley di grandi classici come “Nostalgia canaglia” e “Felicità”, giusto per non scontentare qualche dittatore russo appena sintonizzato e per portare un po’ di sana atmosfera da capodanno a Dubrovnik. Sebbene non formalmente in competizione, il duo ha presentato un brano inedito intitolato “Raccogli l’attimo” e scritto da Cristiano Malgioglio. Nonostante la canzone sia stata eseguita in un playback imbarazzante, i suoi ritmi latini sono tanto trash quanto orecchiabili. Voto: 6. 

Anastasio tenta la strada dell’ibridazione tra il rap e l’hard rock, con chiari rimandi allo stile dei Run DMC. “Rosso di rabbia” tenta di fare qualcosa di simile all’Achille Lauro dell’anno scorso, ma senza quella vena irriverente. Il pezzo è molto aggressivo, insolito per Sanremo, e vorrebbe essere un inno generazionale. Invece è solo blanda demagogia sulla rabbia giovanile. Voto: 5.

Elodie è un’altra grande sorpresa del Festival. “Andromeda”, scritta da Mahmood, il vincitore della scorsa edizione, gioca con la quiete neo-soul in stile Jorja Smith per poi esplodere in un travolgente ritmo dance alternativo. In tutto questo, che promette un risveglio dal brutto neomelodico della musica italiana, c’è spazio per citare Nina Simone, icona americana del jazz anni Sessanta e paladina dei diritti civili degli afroamericani. “Andromeda” potrebbe essere un pezzo vincente anche per la competizione continentale Eurovision. Eccellente. Voto: 8.

“Sincero” di Bugo e Morgan è un bravo new wave pieno di sintetizzatori. Ricorda da vicino le sonorità dei Bluvertigo, il cui leader era, infatti, il secondo del duo. Per entrambi, “Sincero” non è nulla di particolarmente nuovo. La canzone è ritmata ma piatta, non decolla mai. Voto: 4.

Su “Il sole ad Est” di Alberto Urso non c’è molto da dire. Lo stile enfatico da opera lirica pop e il cantato tenorile dell’artista rientrano nella stessa squadra de Il Volo e Andrea Bocelli. È quel kitsch italico che lo stereotipo vuole come sempreverde nei locali frequentati dai malavitosi italoamericani. Voto: 1.

Riki, in quota Maria De Filippi, cerca la strada facile con “Lo sappiamo entrambi”, un banalissimo pezzo sanremese presente in ogni edizione. Alla fine del ritornello, forse per tentare di sembrare contemporaneo, la voce del cantante viene distorta da un vocoder. Questa scelta non ha alcuna giustificazione artistica se non una certa ruffianeria. Voto: 2. 

Raphael Gualazzi chiude la serata abbandonando le sofisticatezze del jazz che lo hanno reso sia celebre che acclamato dalla critica. Questa rottura con il passato non è, comunque, un difetto. Gualazzi si spoglia della sua aria seriosa e musicalmente alta per portare, con “Carioca”, una ventata di allegria. Il bellissimo arrangiamento, che mischia la musica etnica sudamericana con una vasta sezione di trombe, è anche molto orecchiabile. Quando un artista si discosta così tanto dalle sue consuetudini, e riesce persino a portare a casa un risultato sorprendente, è degno di ammirazione. Voto: 8.

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