Atomik, la vodka prodotta a Chernobyl per risollevare l’economia del territorio 

Una vodka artigianale di alta qualità prodotta con i cereali coltivati all’interno della zona d’alienazione radioattiva di Chernobyl: si chiama “Atomik”, è prodotta dalla Chernobyl Spirit Company e al momento ne esiste una sola bottiglia, che non è in vendita. Frutto di uno studio condotto da alcuni scienziati di università inglesi ed ucraine, secondo quanto riportato dall’emittente televisiva inglese BBC, la vodka Atomik rappresenta il primo prodotto commerciale proveniente dalla zona di alienazione di Chernobyl, cioè l’area che si estende nel raggio di 30 chilometri dal sito del disastro nucleare. Al contrario di quanto si possa pensare, la Atomik è una vodka totalmente sicura e priva di sostanze radioattive poiché, come assicurano i produttori, il processo di distillazione permette di eliminare tutte le impurità rimaste nel grano.

«Penso che questa sia la bottiglia di alcolici più importante al mondo perché potrebbe aiutare la ripresa economica delle comunità che vivono nelle aree abbandonate. Molte migliaia di persone vivono ancora nella zona di reinsediamento obbligatorio dove i nuovi investimenti e l’uso dei terreni agricoli sono ancora vietati», ha dichiarato il professor Jim Smith dell’Università inglese di Portsmouth, responsabile del progetto. 

L’intento dei ricercatori è quello di invertire la rotta: fornire una possibile soluzione per bonificare la zona danneggiata intorno alla centrale nucleare e, allo stesso tempo, sfruttarne i terreni per le colture di cereali destinati alla produzione di alcolici. «Più di trenta anni dopo l’incidente, riteniamo che ciò di cui queste aree hanno maggiormente bisogno sia lo sviluppo economico e la gestione dell’eccezionale risorsa faunistica che le aree abbandonate rappresentano”, si legge sul sito web della Chernobyl Spirit Company. Per questo motivo almeno il 75 per cento degli utili derivanti dalle vendite future di Atomik andrà a sostegno delle comunità locali nelle aree colpite e alla conservazione della fauna selvatica. Di certo non si tratta di una soluzione ai molteplici problemi legati a quei territori, ma sicuramente rappresenterebbe un ottimo impulso per ricominciare e risollevare l’economia di un’area abbandonata da decenni. 

  

 

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