Piazza Scaravilli è transennata da 2 mesi e mezzo per evitare assembramenti di ragazzi che si riunivano per aperitivi quando i casi di positività al Coronavirus a Bologna, i ricoveri e i decessi per Covid erano in forte risalita.
Hanno aperto le transenne in piazza Scaravilli, poste dal Comune di Bologna per evitare assembramenti di ragazzi e ragazze, per metterci nell’area della piazza della zona universitaria tavoli e sedie e formare un’aula studio all’aperto, meglio chiamata come “Piazza Studio”. Sono gli attivisti del collettivo studentesco CUA che hanno deciso di riappropriarsi di piazza Scaravilli come simbolo, non tanto dei servizi che mancano, secondo CUA, nell’ateneo bolognese, ma come un grido che invochi «tempo, spazi e soldi». Gli studenti aderenti al collettivo hanno trovato questo modo di protestare per voler dare un nuovo significato all’università: «attraversare di nuovo le piazze, trovando nuovi modi di autotutelarci e di viverli senza arrendersi alla sofferenza e al nichilismo, ma neanche alla militarizzazione e alla chiusura», si legge in una nota del CUA. Piazza Scaravilli è da mesi transennata per evitare assembramenti di ragazzi che si riunivano per aperitivi quando i casi di positività al Coronavirus a Bologna, i ricoveri e i decessi per Covid erano in forte risalita.
Ma gli studenti dicono di voler vivere quella piazzetta della zona universitaria come una Piazza Studio Autogestita come momento di condivisione e lotta. «Non smettiamo finché non otteniamo ciò che chiediamo: vogliamo un’università libera dai ricatti temporali ed esistenziali dei cfu e che metta da parte la logica del calcolo delle tasse a partire dall’Isee familiare dei due anni precedenti», scrive il collettivo studentesco CUA.
Le richieste, tuttavia, non si fermano qui. «Vogliamo un’università in cui se viene aperto un bando covid per aiutare le persone in difficoltà, questo non sia una finta soluzione di facciata, ma una possibilità reale per tutti e tutte. Vogliamo un’università che non pretenda il pagamento di tasse esorbitanti, dimezzando o annullando i servizi offerti. Per il collettivo studentesco, inoltre, l’Università di Bologna avrebbe usato la «pandemia come scusa per chiudere spazi e azzerare possibilità di confronto e apertura» e quindi vorrebbe che ci siano strumenti, come ad esempio la didattica a distanza, per “connettere” gli studenti e le studentesse realmente, e «non dividerli sulla base del reddito e delle possibilità di vivere o meno nelle città in cui abbiamo deciso di studiare e mettere radici».