Un’app per scoprire come le stesse app ci “spiano”, lo studio di un ricercatore Unibo

Una ricerca di uno studioso dell’Unibo mostra come le applicazioni possono dedurre un gran numero di informazioni personali sugli utenti come lo stato di salute, le condizioni socioeconomiche, l’appartenenza etnica, l’appartenenza religiosa.

Quante cose possono scoprire di noi le app che abbiamo sul telefono attraverso il tracciamento dei nostri spostamenti? Lo spiega un’ultima ricerca di due studiosi, Mirco Musolesi dell’Università di BolognaBenjamin Baron dello University College London (Regno Unito), che hanno realizzato un’applicazione che permette di individuare le tante informazioni personali estratte dalle app e di capire quali sono, tra queste, quelle che gli utenti ritengono più sensibili per la loro privacy. L’applicazione ideata per capirlo si chiama TrackAdvisor e raccoglie continuamente i dati sulla posizione di chi la utilizza. A partire da questi dati, la app deduce poi una serie di informazioni personali e le presenta agli utenti chiedendo di valutarne non solo la correttezza ma anche la rilevanza percepita rispetto alla loro privacy. 

Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the ACM on Interactive, Mobile, Wearable and Ubiquitous Technologies, ha analizzato i dati di 69 utenti che hanno utilizzato TrackAdvisor per almeno due settimane. In totale la app ha registrato più di 200.000 posizioni geografiche e individuato circa 2.500 luoghi visitati, ricavando quasi 5.000 informazioni personali, sia demografiche che legate alla personalità. Tra queste, i dati sullo stato di salute, sulle condizioni socioeconomiche, sull’appartenenza etnica e sull’appartenenza religiosa sono quelli emersi come più sensibili per gli utenti. 

«Gli utenti sono in gran parte inconsapevoli delle conseguenze sulla privacy di alcuni permessi che concedono ad applicazioni e servizi, in particolare l’accesso alle informazioni sulla posizione geografica.Da questi dati, utilizzando tecniche di machine learning, è infatti possibile dedurre informazioni sensibili come il luogo di residenza, abitudini, interessi, specifiche caratteristiche demografiche e informazioni sulla personalità degli utenti», spiega Mirco Musolesi dell’Università di Bologna.

Il ricercatore considera importante far vedere agli utenti quali e quante informazioni personali è possibile ottenere attraverso il tracciamento della loro posizione e se gli utenti considerino la condivisione di queste informazioni con i gestori delle app o con aziende di marketing come un fatto accettabile o una violazione della loro privacy. 

«Grazie a sistemi di questo tipo, gli utenti che vogliono, ad esempio, proteggere le informazioni sul loro stato di salute potrebbero ricevere delle notifiche ogni volta che si recano in un ospedale o in una clinica medica”, conferma Musolesi. «Oppure, potrebbero nascere sistemi in grado di offuscare automaticamente alcuni dati sensibili, prima che vengano acquisiti da parti terze, a partire da impostazioni sulla privacy definite in precedenza». 

 

fonte: Unibo

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