“W Stalin, W Roosevelt, W Churchill”, a Bologna scritte sui muri anche nel 1945

In un pomeriggio in cui proprio non avete nulla da fare, muovete due passi fino al parco più vicino a casa vostra e guadagnatevi la fiducia (e le chiacchiere) di qualcuno degli anziani che, seduti sulle panchine, si godono gli ultimi momenti d’aria fresca. Se sarete gentili e sufficientemente curiosi, con un po’ di fortuna vi verranno regalati autentici ricordi della guerra, dei bombardamenti, della liberazione. Se invece siete timidi, in alternativa, potete sempre guardarvi intorno per stanare da soli tracce di gioie e paure spesso dimenticate, nascoste nel cuore di una città pulsante di vita e carica di storia.

Tempo di Liberazione

Il 21 aprile 1945 è una data che i bolognesi dovrebbero conoscere bene. Erano quasi le nove di mattina e alle finestre affacciate sulle vie del centro arrivava l’eco di un gran trambusto. Giù, in strada, c’erano polacchi, americani e partigiani. Alcuni di essi, dimentichi dei fucili – ormai non pesavano più – percorrevano Strada Maggiore armati di stampini, pennelli e vernice nera. Ora osservate bene la quarta mattonella dal basso, all’angolo della Torre Asinelli a destra dell’entrata e noterete, con forse qualche difficoltà, che essa è leggermente annerita. Una più violenta macchia scura invece è ben visibile su una colonna al numero 42 di Strada Maggiore. Rimangono solo i resti di due di esse, ma per la verità il 21 aprile 1945 la via pullulava di scritte che inneggiavano ai liberatori. “W Roosevelt, W Churchill, W Stalin”.

Il prezzo della vittoria

Le forze Alleate alla fine avevano liberato la città rossa, ma i bolognesi avevano pagato un duro prezzo. Annientare i tedeschi aveva significato, anche e soprattutto, annientare i mezzi di rifornimento nemici radendo al suolo scali ferroviari, depositi e officine. L’aviazione del tempo non era sofisticata e molto spesso un cielo nuvoloso aveva avuto forti ripercussioni sulla precisione dei cacciabombardieri. Nel rapporto del 99° Bomb Group su un bombardamento aereo del 25 settembre 1943 si legge “City Hit”.  A risentire dell’errore erano stati soprattutto i cittadini, le loro case e i loro monumenti. A questo proposito, è ancora ben riconoscibile sulla facciata del Sacro Cuore la dichiarazione “Opera dei liberatori”, la stessa che probabilmente venne verniciata anche su una colonna di fianco all’Archiginnasio, anch’esso trovatosi lungo un’imprevista linea di fuoco. Inutile dire che si trattava della sarcastica opera di propaganda di civili furibondi nei confronti degli alleati.

Prendersi cura del passato

Di quel momento in cui si erano voluti omaggiare i presidenti degli Stati liberatori, o viceversa denunciare i soprusi degli Alleati, ormai rimangono solo pochi indizi, quasi impercettibili. Eppure siamo certi di non esserci immaginati nulla: solo dieci anni fa quelle scritte c’erano, erano leggibili e molti ne conservano memoria. Magari qualche nonno, trovandosele davanti, avrebbe accennato a un sorriso. Qualche giovanotto si sarebbe incuriosito.

Viviamo in un paese patrimonio di storia e di cultura, siamo ben abituati a considerare inestimabili le opere e i cimeli illustrati nei libri o conservati nei musei. Ciò di cui spesso non ci rendiamo conto, tuttavia, è che per fare un tuffo nel passato basterebbe soltanto guardarsi intorno, salvando così la memoria delle più piccole testimonianze. Un insolito graffito sul muro di un edificio o su di una colonna può rivelarsi anch’esso frammento impagabile di storia e di cultura e noi, a distanza di numerosi anni, abbiamo l’onere e l’onore di prendercene cura.

di Arianna Bandiera

un articolo a cura di Giovani Reporter

Condividi