Fossili spaziali nel cuore della Via Lattea, la scoperta guidata dall’Università di Bologna

Sono stati battezzati “Frammenti Fossili del Bulge” e appartengono ad una classe stellare fino ad oggi sconosciuta: rappresentano i resti di strutture massive primordiali da cui circa 12 miliardi di anni fa nacque il centro della nostra galassia.

Come archeologi che scavano alla ricerca di testimonianze del passato, un gruppo internazionale di astrofisici è riuscito a penetrare oltre la fitta nube di polvere che avvolge il centro della Via Lattea (il rigonfiamento noto come bulge) portando alla luce oggetti antichissimi e fino ad oggi sconosciuti: una nuova classe di sistemi stellari, che gli studiosi hanno battezzato “Frammenti Fossili del Bulge”. Pubblicato su Nature Astronomy, lo studio è stato realizzato da un team di ricerca guidato da Francesco Ferraro del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e associato all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). 

La scoperta è arrivata dall’analisi di Liller 1, un sistema stellare nel bulge della nostra galassia che da più di quarant’anni era catalogato come “ammasso globulare”, ovvero un aggregato di milioni di stelle che hanno tutte all’incirca la stessa età. Gli ammassi globulari noti nella Via Lattea sono numerosi: se ne contano circa 150. Grazie ad una serie di osservazioni, gli studiosi hanno però scoperto che Liller 1 ha un’identità diversa da quanto si era creduto finora, e molto più affascinante: è infatti il frammento fossile di uno dei giganteschi agglomerati di stelle dalla cui fusione, 12 miliardi di anni fa, si è formato il cuore della nostra galassia. «I risultati del nostro studio dimostrano in maniera inequivocabile che Liller 1 non è un ammasso globulare, ma qualcosa di molto più complesso. Si tratta di un relitto stellare, un reperto fossile nel quale è impressa la storia della formazione della Via Lattea», dice il professor Francesco Ferraro, primo autore e coordinatore dello studio. “ 

I primi sospetti della possibile esistenza di questi “reperti archeologici cosmici” erano emersi alcuni anni fa, quando lo stesso gruppo di studiosi aveva scoperto un oggetto simile, chiamato Terzan 5. Anche in questo caso, l’apparenza era quella di un ammasso globulare nel bulge della nostra galassia, ma ad un’analisi più dettagliata erano emerse caratteristiche non compatibili con questa classificazione. Un caso isolato poteva però rappresentare solo una curiosa anomalia: la nuova scoperta relativa a Liller 1 porta invece a confermare che esiste in effetti una classe di sistemi stellari che fino ad oggi non era stata individuata.

Ma quali sono le caratteristiche di questi Frammenti Fossili del Bulge? 

In apparenza si tratta di oggetti indistinguibili dai comuni ammassi globulari. Andando però a vedere le età delle stelle che li abitano si scopre una differenza fondamentale. All’interno di questi sistemi ci sono infatti due popolazioni stellari diverse: una molto antica – formatasi attorno a 12 miliardi di anni fa – e una molto più giovane. Un elemento fondamentale, questo, che da un lato mostra come questi sistemi siano nati nella primissima fase di formazione della Via Lattea e dall’altro indica la capacità di innescare al loro interno eventi multipli di formazione stellare. «Le proprietà delle popolazioni stellari vecchie osservate in Liller 1 e in Terzan 5 dimostrano che entrambi questi sistemi si sono formati molto tempo fa, all’epoca della formazione della Via Lattea», spiega Barbara Lanzoni, professoressa dell’Università di Bologna e associata INAF, coautrice dello studio. «D’altra parte, le popolazioni giovani sono più ricche di ferro e maggiormente concentrate nelle regioni centrali rispetto alle popolazioni vecchie, in accordo con quanto ci si aspetta in uno scenario di auto-arricchimento, in cui le stelle più giovani si formano da gas espulso dalla popolazione precedente». 

Arrivare a scoprire tutto questo non è però stato affatto semplice. Liller 1 si trova infatti in una delle regioni più opache della nostra galassia, dove spesse nubi di polvere oscurano fortemente la luce stellare, fino a renderla 10.000 volte più debole di quanto sia in realtà. L’unico modo per riuscire a “guardare” oltre queste nubi è attraverso la luce infrarossa. Per questo, gli studiosi si sono affidati a Gemini South, un potente telescopio di 8 metri di diametro, che si trova in Cile, dotato di una strumentazione in grado di correggere le distorsioni prodotte dall’atmosfera terrestre sulle immagini delle stelle. 

Gemini South ha permesso di ottenere una serie di immagini straordinarie di Liller 1, con una nitidezza senza precedenti, da cui è stato possibile realizzare una prima analisi dettagliata della sua popolazione stellare. Per avere un quadro definitivo della composizione di questo sistema stellare mancavano però ancora alcuni elementi. In particolare, serviva capire se tutte le stelle presenti nelle immagini facessero effettivamente parte di Liller 1 o se alcune di loro si trovassero semplicemente lungo la stessa linea di vista. Un ulteriore problema che gli studiosi sono riusciti a risolvere affidandosi a nuove osservazioni, fatte questa volta con il telescopio spaziale Hubble. 

«Una volta combinate tra loro, le immagini di Gemini e di Hubble hanno finalmente fornito una visione chiara e dettagliata delle stelle di Liller 1, escludendo efficacemente gli astri non appartenenti al sistema», dice Cristina Pallanca, ricercatrice dell’Università di Bologna e associata INAF, coautrice dello studio. «La conclusione è stata una vera sorpresa: Liller 1 ospita almeno due popolazioni stellari con età drasticamente differenti, la prima si è formata circa 12 miliardi di anni fa, la stessa epoca di formazione della Via Lattea, mentre la seconda è molto più giovane, con un’età compresa tra 1 e 2 miliardi di anni». 

Una caratteristica sorprendente e del tutto simile a quanto era già stato scoperto per Terzan 5, al cui interno è presente una popolazione stellare vecchia quanto la Via Lattea e un’altra molto più giovane (4,5 miliardi di anni). «La scoperta che Liller 1 ha caratteristiche molto simili a quelle di Terzan 5 ha permesso di definire una nuova classe di sistemi stellari, originati da progenitori abbastanza massicci da poter trattenere il gas espulso ad altissima velocità dalle supernove. Quelli che osserviamo oggi sono solo frammenti di quelle gigantesche strutture», commenta Emanuele Dalessandro, studioso dell’INAF – Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio (OAS) di Bologna e coautore dello studio. 

Da qui la conferma dell’esistenza di questi sistemi stellari fino ad oggi sconosciuti, denominati “Frammenti Fossili del Bulge”, che rappresentano i resti di strutture massive primordiali da cui circa 12 miliardi di anni fa nacque il cuore della Via Lattea. «In questi reperti fossili è scritta la storia della formazione della nostra galassia, risalente ad un’epoca in cui l’Universo era ancora bambino: aveva solo un miliardo di anni”, dice in conclusione il professor Ferraro. “Ora dobbiamo continuare a scavare ancora più a fondo: grazie a questi ‘ritrovamenti fossili’ possiamo infatti cominciare finalmente a rileggere questa storia, e forse a ridisegnare le nostre conoscenze riguardo alla formazione del bulge». 

I protagonisti dello studio

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy con il titolo “A new class of fossil fragments from the hierarchical assembly of the Galactic bulge”. Hanno partecipato Francesco R. Ferraro, Cristina Pallanca, Barbara Lanzoni, Chiara Crociati e Alessio Mucciarelli del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e associati all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Per INAF hanno partecipato anche Emanuele Dalessandro e Livia Origlia. Sono stati coinvolti inoltre R. Michael Rich della University of California, Los Angeles (USA), Sara Saracino della Liverpool John Moores University (UK), Elena Valenti e Giacomo Beccari per lo European Southern Observatory (Germania), Douglas Geisler e Sandro Villanova della Universidad de Concepción (Cile), Francesco Mauro e Cristian Moni Bidin della Universidad Católica del Norte (Cile). 

 

 

fonte: Università di Bologna

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