Dai diamanti nasce il metano, uno studio internazionale a cui ha partecipato l’Unibo

Alcuni studiosi di ricerca internazionale, tra cui anche alcuni dell’Università di Bologna sono riusciti a far reagire idrogeno e diamanti, generando metano: un risultato che potrebbe aiutarci a conoscere meglio il ciclo profondo del carbonio, fondamentale per la presenza di vita sul nostro pianeta. 

Sono riusciti a trasformare il diamante, una delle gemme più rare e preziose al mondo, in uno dei più dannosi gas serra, il metano. A farlo è stato un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna, dell’Università di Edimburgo (Regno Unito), del Centre National de la Recherche Scientifique (Francia) e dello HPSTAR (Cina) come esperimento scientifico che potrebbe aiutarci a conoscere meglio il ciclo profondo del carbonio e la formazione di idrocarburi tramite processi abiotici (cioè non legati ad attività biologica) nelle profondità della Terra. Nonostante rappresenti almeno il 90% del totale del ciclo del carbonio, la sua parte profonda – che avviene cioè al di sotto della superficie terrestre – è oggi quella meno conosciuta. Questo fenomeno è però fondamentale per la presenza di vita sul nostro pianeta, perché permette al carbonio presente nelle profondità del pianeta di tornare nell’atmosfera.

«La possibile formazione di diamanti a partire dalla decomposizione del metano è un processo noto, ma il fenomeno inverso, ovvero la formazione di metano dalla reazione tra diamante e idrogeno, era finora un tassello mancante per la comprensione del ciclo profondo del carbonio», spiega Alberto Vitale Brovarone, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. 

Parte del ciclo profondo del carbonio è infatti anche la possibile formazione di idrocarburi come il metano attraverso processi indipendenti da attività biologiche, una teoria estremamente controversa da più di un secolo. I ricercatori hanno esplorato questa possibilità, e lo hanno fatto partendo dai diamanti: gemme presenti nel mantello terrestre e composte da atomi di carbonio ordinati. 

Lo studio 

Gli studiosi hanno utilizzato un apparato sperimentale chiamato “cella a incudine diamante”, che permette di generare altissime pressioni comprimendo due punte di diamante una contro l’altra: in questo modo è stato possibile ricreare livelli di pressione simili a quelli presenti nel mantello superiore del nostro pianeta, a più di 70 chilometri di profondità. A questo punto, inserendo all’interno dell’apparato sperimentale un’atmosfera di idrogeno puro riscaldata ad oltre 300 °C, i ricercatori hanno osservato la rapida formazione di metano, le cui molecole sono formate da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno (CH4). 

«Ricreando condizioni di pressione e temperatura simili a quelle del mantello superiore terrestre, abbiamo osservato che l’interazione tra diamanti e idrogeno produceva metano nel giro di pochi secondi. Questo dimostra che idrocarburi come il metano si possono formare a grandi profondità in assenza di attività biologica: un fenomeno che potrebbe avere un ruolo fondamentale nel ciclo profondo del carbonio», conferma Vitale Brovarone. 

Il gruppo di ricerca ha ripetuto lo stesso esperimento anche aggiungendo della grafite – composta anch’essa da carbonio puro – e in altro caso inserendo un materiale carbonioso simile al vetro. In entrambi i casi, è stata osservata ancora la formazione di metano, in quantità maggiori e in tempi più rapidi rispetto a quanto accaduto utilizzando solo i diamanti. Risultati che suggeriscono come i materiali grafitici a base di carbonio possono essere reagenti particolarmente efficaci e possono quindi agire come fonti di energia che alimentano le riserve di metano presenti nel sottosuolo terrestre. 

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature Communicationscon il titolo “In-situ abiogenic methane synthesis from diamond and graphite under geologically relevant conditions”.

Gli autori sono Miriam Peña-Alvarez, Mengnan Wang e Eugene Gregoryanz dell’Università di Edimburgo (Regno Unito), Mary-Ellen Donnelly, Philip Dalladay-Simpson e Ross Howie del HPSTAR – Center for High Pressure Science and Technology Advanced Research (Cina) e Alberto Vitale Brovarone, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna.

 

fonte: Università di Bologna

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