Mi è capitato di incontrare una donna che non vedevo da anni, dai tempi dell’università, mentre lei studiava con profitto Medicina e io arrancavo a Giurisprudenza. Comunque a suo tempo era una gran “compagna”, in tutti i sensi: diceva che lo studio è un diritto, e quindi l’università deve essere per forza pubblica e aperta a tutti; che si studia e lavora per passione e non per i soldi, che lei avrebbe fatto il medico per appagare il proprio desiderio di aiutare gli altri.

La rivedo, ci prendiamo un caffè: si è laureata, ha sposato un collega, figlio di medici con un ambulatorio privato. Ed ecco i discorsi della dottoressa oggi: è giusto che la sanità sia privata perché i medici sono quelli che studiano di più e che guadagnano meno, rispetto ad altri professionisti come architetti e ingegneri. Che è giusto che anche l’università sia privata perché solo così può essere sempre più all’avanguardia e preparare i professionisti di domani.

Io non le ho detto niente, ero troppo impegnato a fissare la sua quarta di tette e a pensare a quando la mettevo a pecora sul suo divano. Quando il sangue va all’uccello non va al cervello, è un dato di fatto. Ma quello che ho pensato a mente fredda, quando il sangue è tornato a fluire normalmente, è: «Cantavi su ben altro tono, quando sei venuta a studiare a Bologna dalla Puglia con le pezze al culo!». Insomma, il problema è questo: spesso le idee non nascono autonomamente, ma è la situazione di ognuno di noi a determinarle. In soldoni, ognuno porta l’acqua al suo mulino. Finché l’acqua dura, e finché ci sarà per tutti i mulini. Vedremo cosa succederà quando finirà. 

Condividi