Frequenta a Bologna un master in Studi di Genere e delle Donne, volto allo studio critico dei femminismi, in ottica post-coloniale, ed è un ricercatore dell’Alma Mater. Patrick Zaky è stato arrestato e sequestrato dalle autorità egiziane una volta atterrato all’aeroporto del Cairo giovedì scorso. Non si conoscono ancora i motivi. Alcune fonti suppongono che sia stato sottoposto a torture ed elettroshock. L’unica certezza è che è stato privato del diritto di appellarsi al proprio avvocato e di poter contattare la propria famiglia. L’episodio fa impressione perché ricorda la storia di Giulio Regeni.
Zaky è un attivista impegnato nella difesa dei diritti umani nell’Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR) e fortemente determinato nel denunciare le condizioni di repressione e di forti diseguaglianze politiche, economiche e sociali in cui l’Egitto è costretto dal regime di Al-Sisi. Del suo arresto si sa poco (come fu per Giulio Regeni. Si sa solo che nel 2019, gli era stato disposto un mandato di arresto mai ricevuto né dallo stesso né dall’ambasciata italiana. Quello che si sa del ricercatore, come riportato dall’Agenzia di stampa DIRE, è che nel 2018 aveva rilasciato un’intervista nella quale denunciava l’instabilità socio-economica del suo Paese, la restrizione di ogni spazio di espressione e l’oppressione di ogni tipo di dissenso.
«Quello che in questi giorni è accaduto a Zaky, non è altro che l’ennesimo attacco al mondo della ricerca e a chi la svolge: in Egitto non solo non è permessa la divulgazione di saperi non allineati alle volontà del regime, ma non è altresì permesso di formarsi al di fuori del Paese. Purtroppo, dobbiamo ricordare oggi che un altro ricercatore italiano è stato barbaramente ucciso dal regime di Al-Sisi per il suo dedicarsi alla ricerca e alla difesa dei diritti dei lavoratori: infatti, sono trascorsi pochi giorni dall’anniversario della morte di Giulio Regeni, sull’omicidio del quale ancora non è stata fatta giustizia, nel totale disinteresse del Governo italiano, il quale non solo tende a silenziare il caso, ma anche continua a finanziare economicamente e con la vendita di mezzi militari il regime egiziano. Chiediamo una presa di posizione ufficiale anche dall’Ateneo di Bologna, esprimendosi contro quanto avvenuto e in solidarietà al ricercatore», scrive l’associazione studentesca Link Bologna sulla sua pagina Facebook.