Cambiamenti climatici in atto e l’Eni produce energia solo per lo 0,1 per cento da fonti rinnovabili

Grave siccità nel 2017, 27 eventi climatici estremi nel 2018, ondate di calore, grandinate mai viste con continui danni all’agricoltura nei primi mesi del 2019, esondazioni del Reno e del Savio, trombe d’arie e mareggiate con fenomeni di erosione costiera inarrestabile. L’emergenza climatica nella regione Emilia-Romagna c’è ed è tangibile tanto che, secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), il 63,7 per cento della popolazione in Emilia Romagna è esposta a rischio alluvione.  Guardando al litorale, la stessa comunità scientifica evidenzia numerosi problemi: il rischio ingressione marina e del cuneo salino e la sempre maggiore frequenza di mareggiate. Assistiamo ad una miscela esplosiva: la somma di subsidenza, innalzamento del mare e mancanza di apporto solido dai fiumi sempre più artificializzati prefigura uno scenario di disastri economici, sociali ed ambientali. 

Se da una parte dunque gli scenari devastanti avanzano in modo veloce, dall’altra un’ampia parte di interessi economici vede la costa solo come la frontiera per guadagnare sulle fonti fossili. «Nel pieno della crisi climatica ENI, la principale azienda energetica controllata dallo Stato, in Emilia Romagna manifesta un impegno sulle energie rinnovabili praticamente assente. Rispetto alla quantità di energia ottenuta dall’estrazione del gas, in particolare a mare, la percentuale di rinnovabili prodotta da ENI è assolutamente esigua un valore considerevolmente inferiore allo 0,1 per cento rispetto l’energia fossile», denuncia Legambiente Emilia-Romagna. 

Secondo l’associazione ambientalista, questa bassa percentuale delle rinnovabili dimostra una inadeguatezza dell’azienda ma anche un fallimento della politica che «continuamente rivendica la centralità dell’Emilia Romagna sul settore energetico tradizionale, ma che non è stata in grado di ottenere di più sulle energie verdi». 

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