Il 25 aprile celebriamo la Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo. Lo facciamo da ottant’anni, e giustamente continuiamo a farlo. La memoria è sacra, il sacrificio di chi ha lottato contro la dittatura va onorato, tramandato, ricordato. Ma mentre ci immergiamo tra cortei, concerti, brindisi, discorsi ufficiali, pasta asciutta antifascista e bandiere tricolori, dovremmo porci una domanda scomoda ma necessaria: siamo davvero liberi dal fascismo?
Attenzione, non parliamo del fascismo storico, quello delle leggi razziali, delle deportazioni, dello squadrismo, del pensiero unico imposto con la forza. Quello, per fortuna, è stato sconfitto. No, oggi parliamo di un “nuovo fascismo”, più subdolo, più silenzioso, ma non meno pericoloso. Un fascismo moderno che si manifesta nella compressione della libertà individuale, nella paura del dissenso, nella sorveglianza costante, nell’obbligo non dichiarato di conformarsi.
Il nuovo volto del potere: repressione soft e controllo totale
Solo pochi giorni fa il governo ha approvato un nuovo decreto Sicurezza. Un provvedimento che inasprisce le pene per chi manifesta, rafforza le tutele per le forze dell’ordine, rende reato penale anche un semplice blocco stradale pacifico e criminalizza la canapa industriale. È questo il modo di garantire la democrazia? O stiamo scivolando verso la criminalizzazione del dissenso? Dove finisce la sicurezza e dove inizia l’autoritarismo?
Non è solo questione di ordine pubblico. È il quadro generale a preoccupare. Le libertà fondamentali — di opinione, di manifestazione, di critica — sono sempre più condizionate da un clima di sospetto e conformismo. Chi si espone, chi esprime una posizione fuori dal coro, rischia di essere bollato, isolato, ridicolizzato. Non come “rivoluzionario”, ma come “fascista”. Un paradosso amaro che rivela il cortocircuito del pensiero unico.
Post-democrazia e nuovi padroni
Lo storico Luciano Canfora lo ha detto chiaramente: «Viviamo in una post-democrazia. Comandano le lobby bancarie e informatiche che sono il “doppio Stato”». E gran parte dell’informazione, aggiunge, si adatta come il servo che cambia padrone. Concordo. Ma vorrei spingere la riflessione ancora più in là: adeguarsi al nuovo padrone significa diventare schiavi. E lo schiavo non è libero.
Siamo schiavi della tecnologia, dei social network, delle grandi piattaforme che dominano la comunicazione e l’economia. Possiamo vivere senza uno smartphone connesso? Possiamo lavorare o essere qualcuno senza avere Facebook, Instagram, LinkedIn? Possiamo comunicare senza passare dai canali di Elon Musk o Mark Zuckerberg? Possiamo acquistare casa, aprire un’attività, sognare un futuro senza passare dalle banche? La risposta è no. E se la risposta è no, non siamo liberi.
Libertà di espressione: quanto possiamo ancora dire?
La nostra Costituzione all’articolo 21 è chiara: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Ma siamo sicuri che oggi sia davvero così? Siamo sicuri che possiamo dire quello che pensiamo senza pagarne un prezzo, anche solo sociale o professionale?
Il nuovo fascismo, quello che va combattuto oggi, non è una marcia su Roma, ma una marcia silenziosa verso l’omologazione. Si insinua nella nostra quotidianità, nei nostri lavori, nei nostri schermi. Ci fa credere di essere liberi mentre lentamente ci toglie il coraggio di dissentire. E così, mentre ogni 25 aprile celebriamo la Liberazione dal fascismo, rischiamo di svegliarci ogni 26 aprile dentro un altro tipo di fascismo: più tecnologico, più sofisticato, ma ugualmente pericoloso.
La Liberazione deve continuare
La festa della Liberazione deve restare. Deve essere celebrata con forza, con orgoglio, con memoria viva. Ma non basta ricordare il fascismo che fu. Dobbiamo imparare a riconoscere il fascismo che è. Quello che ci circonda oggi. Che ci limita, ci osserva, ci indirizza. Perché la Liberazione non è solo un evento storico. È un processo continuo.
Essere antifascisti oggi significa difendere ogni giorno la libertà individuale, la pluralità delle opinioni, il diritto al dissenso, la possibilità di scegliere. E non solo il 25 aprile.