È la più antica evidenza diretta della presenza della nostra specie in Europa: le datazioni dei reperti sono state realizzate da un team internazionale diretto dalla professoressa Sahra Talamo dell’Università di Bologna, grazie ad un’analisi al radiocarbonio ad altissima precisione
La scoperta anticipa di ben 2.000 anni, rispetto a quanto ipotizzato fino ad oggi, l’arrivo della nostra specie nelle latitudini medie dell’Eurasia, e aumenta di conseguenza il periodo di convivenza in Europa tra Homo sapiens e Uomo di Neandertal. Inoltre, tra i reperti recuperati sono emersi oggetti in osso che ricordano quelli prodotti millenni più tardi dagli ultimi Neandertaliani in Europa occidentale: un elemento che conferma la teoria dei contatti e degli scambi, anche culturali, avvenuti tra sapiens e la popolazione in declino di Neandertal. I risultati di questi nuovi studi – coordinati da scienziati del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology (Germania) – sono stati pubblicati oggi in due paper. Il primo, uscito su Nature Ecology & Evolution, è dedicato alle datazioni al radiocarbonio dei reperti, e ha quindi fornito le basi per il secondo, uscito su Nature, che descrive il quadro delle novità emerse dalla campagna di scavo.
Il più antico Sapiens “europeo”
Situata a pochi chilometri dalla piccola città bulgara di Dryanovo, ai piedi dei Monti Balcani, la grotta di Bacho Kiro è un sito archeologico ben noto. Venne indagato già alla fine degli anni ‘30 del secolo scorso e poi nuovamente negli anni ‘70, quando furono trovati anche alcuni frammenti di resti umani. Per approfondire il contesto di quei primi ritrovamenti e ottenere una cronologia più precisa della frequentazione umana della grotta in epoca preistorica, nel 2015 sono stati effettuati nuovi scavi sotto la guida dell’Istituto Nazionale Archeologico Bulgaro e del Max Planck Institute. La nuova campagna di scavo ha permesso di portare alla luce un gran numero di nuovi reperti. Tra i quali, negli strati archeologici corrispondenti alla fase iniziale del Paleolitico superiore, sono emersi un dente e cinque frammenti ossei che, grazie all’analisi del DNA mitocondriale, sono stati attribuiti ad esemplari di Homo sapiens. A questo punto era quindi fondamentale conoscere l’esatta cronologia dei nuovi fossili.
L’analisi sui reperti umani è stata realizzata dal team della professoressa Sahra Talamo e dal team di Lukas Wacker dell’ETH di Zurigo (Svizzera), utilizzando un nuovo approccio per le datazioni al radiocarbonio che ha permesso di ottenere un’altissima precisione. E per uno dei sei fossili esaminati, l’analisi ha restituito una datazione corrispondente a oltre 45.000 anni fa. «L’analisi al radiocarbonio conferma che questi fossili risalgono alla fase iniziale del Paleolitico superiore e rappresentano quindi la più antica testimonianza diretta della presenza della nostra specie in Europa», spiega la professoressa Talamo. «Queste datazioni sono state possibili grazie ad un nuovo approccio al metodo del radiocarbonio che ha permesso al nostro team di raggiungere una precisione mai ottenuta prima. Non solo: le datazioni del sito di Bacho Kiro compongono il più ampio dataset di un singolo sito paleolitico mai realizzato da un team di ricerca».
«La maggior parte delle ossa di animali che abbiamo datato hanno segni di modificazione da parte dell’uomo, ad esempio segni di macellazione», dice Helen Fewlass, dottoranda della professoressa Talamo e prima autrice del paper pubblicato su Nature Ecology & Evolution. «Questi dati, insieme alle datazioni dirette delle ossa umane, ci forniscono un quadro cronologico molto chiaro di quando l’Homo sapiens ha occupato per la prima volta questa grotta, nell’intervallo tra 45.820 e 43.650 anni fa, e potenzialmente già 46.940 anni fa».
fonte: Università di Bologna
foto: Manufatti in pietra risalenti al Paleolitico superiore iniziale rinvenuti nella grotta di Bacho Kiro – © Tsenka Tsanova, License: CC-BY-SA 2.0.