“La lotta è FICA”, a Bologna i nuovi poster di CHEAP dopo il lockdown

Decine di poster in cui sono rappresentate le lotte femministe che intersecano l’antirazzismo e il “body e sex positive”. È “La lotta è FICA”, il nuovo progetto di arte pubblica  composto da 25 disegni installati in via Indipendenza a Bologna del collettivo CHEAP e per il quale sono state chiamate a raccolta 25 artiste: illustratrici, grafiche, fotografe, performer, fumettiste, streetartist unite dalle prospettive del transfemminismo. “La lotta è FICA” è il primo intervento di arte pubblica realizzato da CHEAP dall’inizio del lockdown ed è stato scelto per sottolineare «quanto il femminismo sia un’attività essenziale». «Questa pandemia ha funzionato in vari ambiti come un acceleratore dove i divari di genere preesistenti si sono dilatati. Si è chiesto di restare in casa anche a donne che nelle proprie case non sono sicure perché convivono che uomini violenti. E il problema della violenza di genere è stato completamente ignorato all’interno del discorso pubblico istituzionale», fanno sapere da CHEAP. 

Secondo il collettivo artistico anche la chiusura delle scuole avrebbe fatto aumentare la responsabilità per le donne in termini di lavoro di cura domestica che avrebbe poi causato l’abbandono da parte delle donne del lavoro salariato, specialmente per quelle che non possono attuare il cosiddetto smartworking.  Inoltre, la crisi sanitaria legata alla pandemia avrebbe avuto anche effetto  sullo spostamento di risorse economiche dai servizi di salute sessuale, riproduttiva e materna. «In un paese dove i consultori erano insufficienti prima dell’arrivo del virus, è legittimo temere che alle donne non verrà garantito il diritto di accedere a servizi sanitari fondamentali. In uno scenario del genere, ripartire dal femminismo ci sembra solo un atto di buon senso», dice il collettivo CHEAP. 

L’intervento di CHEAP arriva nelle strade di Bologna a pochi giorni dalla nuova ondata di polemiche sulla statua dedicata a Indro Montanelli a Milano: un caso? No. «Stiamo finalmente assistendo ad un cambiamento del paradigma. A Bristol, la statua dello schiavista Edward Colston è stata rimossa e buttata nel fiume, negli Stati Uniti varie statue di Cristoforo Colombo sono state rimosse. A Milano si è affermato una cosa che noi troviamo di una banalità sconcertante, cioè che uno stupratore non merita una statua e attraverso di essa una celebrazione pubblica: eppure abbiamo assistito ad una levata di scudi agghiacciante in difesa di un suprematista bianco che parlava della sua schiava bambina come di un “animaletto docile”. Non siamo certe che la difesa del privilegio bianco maschile e coloniale si fermerà alla schiera dei bimbi di Montanelli che si stanno stracciando le vesti, argomentando che lo “stupro va contestualizzato», incalza CHEAP. 

CHEAP oggi produce un intervento di arte pubblica che parla di femminismo, della connessione del potere sistemico nel generare funzionalmente sessismo e razzismo, della necessità di elaborare strumenti di decolonizzazione, di rappresentare corpi che esulano dalla bianchezza o dall’eteronormatività o dalla visione binaria del genere: «Così come sappiamo che non si è pronti a eliminare i simboli del privilegio, pensiamo che sia ora che si facciano i conti anche con quelli della nostra liberazione», dicono da CHEAP. «Per troppo tempo le donne sono state rappresentate dallo sguardo maschile: anche in questo è in atto un cambiamento di paradigma davanti al quale c’è la solita resistenza che porta a problematizzare le donne che si rappresentano in un nudo che non è eroico ma esprime potenza, a gridare allO scandalo le donne che passano dall’essere oggetto a soggetto del desiderio. La lotta non è mai stata così FICA», conclude CHEAP. 

 

 

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