Nel carcere minorile di Bologna mancano educatori, interviene il progetto CPAsso con i suoi volontari

Il progetto “CPAsso”, nel contesto dell’associazione “PrendiParte”, ha l’obiettivo di offrire ai minori detenuti, tramite volontari, uno spazio di ascolto, di espressione e di attività ludiche.

Il futuro lo immagini solo se desideri. E il desiderio è un meccanismo sottile che, soprattutto in alcuni casi, ha bisogno di qualcuno che lo attivi.  È da questa idea che nel 2017 Tommaso Palmieri, uno studente di Giurisprudenza a Bologna, che ha fondato – nel contesto dell’associazione “PrendiParte”- il progetto “CPAsso” che partirà proprio in questi giorni all’interno della Comunità Penale Minorile di Bologna con l’obiettivo di offrire ai minori detenuti, tramite volontari, uno spazio di ascolto e di espressione, per attività ludiche, ma anche per affrontare con loro tematiche sociali. 

Si tratta di una delle sole tre comunità pubblico-private sull’intero territorio nazionale dove trascorrono le loro giornate ragazzi tra i quattordici e i diciassette anni, spesso tra l’ozio e la noia, in attesa di processo. 

Le Comunità Penali Minorili sono solo un tassello del sofisticato sistema penitenziario minorile italiano. In particolare, si tratta di una delle quattro misure cautelari previste dalla legge 448/1998. «Mi sono reso conto che l’associazione era presente con le proprie attività in molte realtà, tranne che nel luogo di maggiore dispersione sociale, il carcere. Inizialmente, infatti, avevo pensato di attivare il progetto all’interno dell’Istituto Penitenziario Minorile, ma poi ho realizzato che in CPM c’era più bisogno», afferma Palmieri. 

Così come il carcere, anche queste strutture dovrebbero essere luogo di educazione e rieducazione, soprattutto dal momento che ospitano adolescenti sottoposti a limitazioni di libertà in un momento importante della loro crescita personale. C’è, però, un ostacolo strutturale: la carenza di educatori. Ancora una volta, quindi, è il terzo settore a sopperire a una mancanza dello Stato – proprio come notava criticamente Antonio Gramsci. Le volontarie e i volontari di “Libera Bologna” tentano proprio di mettere una toppa alla difficoltà di costruire progetti educativi per ragazzi che si ritrovano a non sapere come trascorrere le proprie giornate. Molti di loro, infatti, nonostante siano in obbligo scolastico, non vanno a scuola.  

«Non siamo né amici né educatori, ma una figura che sta in mezzo», dice una delle volontarie. Sull’atteggiamento da assumere i volontari si dividono: c’è chi, come il fondatore, sottolinea la necessità di tenere sotto traccia il proprio sistema di valori. E poi c’è chi risponde con spontaneità alle provocazioni dei ragazzi. «Perché vieni? Non fare finta di essere come me, alla fine del giorno tu esci e io rimango qui». Per questo motivo, entrare in comunità da volontari vuol dire entrare nel sistema per esserne parte critica e imparare a sfuggire alla tendenza a considerarli con la sola identità che appare, quella del detenuto. «Ci mettono molto tempo a fidarsi. Non conoscono la gratuità dei gesti. A me, invece, parlare con loro serve a spogliarmi del mio privilegio», dice sempre una delle volontarie. 

 

foto: pubblica da Facebook

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