Chiude il ristorante Il Gessetto di Bologna, il titolare: «Mi dedicherò alla formazione»

Gaetano Lanza, titolare del ristorante “Il Gessetto” di piazza San Martino chiude la sua attività. Si dedicherà alla formazione con un nuovo approccio da lui inventato: il “metodo Ristoo”.

«Per dare una nuova rispettabilità al lavoro dei camerieri bisogna capire perché alcune persone preferiscono lavorare da casa, non farsi spaventare dalle novità e formarsi adeguatamente». È il pensiero di Gaetano Lanza, proprietario del ristorante bolognese Il Gessetto di piazza San Martino, 4/a che ieri ha chiuso battenti dopo dieci anni di attività. In questa intervista rilasciata al nostro giornale, l’imprenditore ha parlato delle nuove sfide aperte dal Covid, del Reddito di cittadinanza, degli stipendi dei camerieri e di un nuovo approccio formativo da lui inventato. Si tratta del “metodo Ristoo”, un corso online per insegnare ai ristoratori come creare un clima di lavoro positivo e produttivo per poi mettere insieme un team motivato. 

Lanza, come mai ha chiuso il suo ristorante? 

«Perché voglio continuare ad esplorare il mondo della formazione. Io sono già solito, come imprenditore, a creare e a rivendere. Ho fatto questo altre tre volte, come ad esempio con l’osteria Marsalino. Ho creato il bar Gessetto e poi l’ho rivenduto. La stessa cosa, poi, in questo periodo con il ristorante omonimo. È una motivazione squisitamente imprenditoriale. Il marchio è comunque di mia proprietà, e ogni volta che entrerò nella ristorazione verrà fuori un altro Gessetto che ha ricette originali registrate a nostro marchio. I ragazzi che verranno dopo di me faranno nuovo nuovo progetto, io per loro sarò un po’ il padre putativo. Resterò un po’ il socio di capitali e li aiuterò in questa avventura. Imprenditorialmente avrò un piccolo coinvolgimento dentro l’attività, ma sarà completamente diversa e sarà gestita da altre persone. Io mi occuperò della formazione e della consulenza in ambito food».

L’emergenza Covid ha avuto un ruolo in questa decisione? 

«No. Dal punto di vista finanziario, in questo momento stiamo lavorando ancor meglio di prima che arrivasse il Covid. Diciamo che ho sempre preferito lasciare una bella eredità alle persone che acquistano le mie aziende. Non ho mai venduto le mie aziende in un momento di difficoltà».

Che fine hanno fatto i camerieri?

«I camerieri sono stati immediatamente selezionati da altri colleghi e hanno subito trovato lavoro, anche i due cuochi e il barista. Non ho lasciato a piedi nessuno».

La carenza di personale è un ostacolo alla ripartenza di molti ristoranti dopo il Covid. 

«Penso sia vero che c’è un problema di personale e dopo il Covid è esploso. Le motivazioni sono varie, la più banale di tutte sono i sostegni statali che hanno ricevuto. Ma io non credo che sia la risposta, quella è solo una componente. Il cameriere non è più il mestiere che ti permette l’accesso al mondo del lavoro. Prima, per accedere al mondo del lavoro, un ragazzo iniziava come cameriere. Adesso no. Ora ci sono un certo numero di lavori che si fanno da casa, dal computer, che sono anche emersi durante il periodo Covid, e sono diventati il nuovo sistema di accesso al lavoro. Per guadagnare questi soldi, magari anche cento euro di meno, è possibile farlo da casa ma in modo più riposante e meno faticoso del lavoro in un ristorante». 

Per lei questi lavori che si fanno online sono un problema o una cosa positiva?

«Io la valuto come una cosa positiva, siamo noi che dobbiamo farci i conti. In questo scenario la formazione del personale è fondamentale. Noi dobbiamo portare il lavoro del cameriere ad una nuova rispettabilità. Non può essere sempre considerato il lavoro di persone che stanno 13 ore in piedi, bisogna aggiungerci del contenuto. Un impiego come questo ha dentro tantissima conoscenza non solo del prodotto, del vino ma anche del rapporto col cliente. È un lavoro difficilissimo che svalutiamo un po’: culturalmente è sempre stato visto come un lavoro di serie B. È un errore».

Alcuni camerieri dicono che i ristoratori danno stipendi bassi, per quello si fa fatica a trovarne? 

«Tantissimi colleghi come me pagano molto bene, ciononostante hanno avuto lo stesso problemi di personale. Il problema è più complesso di così. Credo che le origini della questione vadano rintracciate un po’ negli aiuti di Stato dati a qualcuno e che preferisce non perderli, un po’ perché esistono dei nuovi lavori online che sostituiscono il part time. Poi ci sono ristoratori che pagano poco, ma ora credo che siano casi isolati».  

Secondo diversi ristoratori il reddito di cittadinanza può essere uno dei motivi per cui non si trovano camerieri.

«In alcune parti d’Italia penso abbia giocato un ruolo. Nella realtà bolognese non credo ci sia stata questa problematica. Personalmente ho visto pochissimi casi, eppure sono nel mondo della ristorazione e della formazione da anni. Forse, a volte, le notizie non somigliano alla realtà».

Tra chi manifesta in piazza contro il Green Pass ci sono anche molti ristoratori del movimento #IoApro. Pensa che siano un ostacolo alla ripresa?

«Non aiutano l’immagine del nostro comparto. Continuano a far immaginare alle persone che esista un sottobosco di ristoratori che non vuole rispettare le regole, come se disconoscessero la realtà attuale. Ci sono moltissimi ristoratori accorti, gli altri sono uno sparuto gruppo. Io non riconosco nessuna validità a #IoApro, questo gruppo ci ha regalato un’immagine negativa. Non è la strada da percorrere».

Aprirà una nuova attività al posto de Il Gessetto?

«Attualmente mi dedicherò alla formazione tramite il “metodo Ristoo”, allo shop online dei nostri prodotti e sospendo, per adesso, il punto vendita. Il marchio Gessetto rimarrà comunque aperto.  Il metodo, detto anche “ristoratore felice”, è una nuova mentalità da inserire nel ristorante. Proprio come si fa con i nuovi prodotti nel menu; bisogna cambiare la testa delle persone che lavorano attraverso percorsi formativi. Per esempio, se si interagisce in maniera efficace con il cliente, il lavoratore pensa anche al suo futuro perché potrebbe aumentare il suo salario. Un’azienda come la mia, fondata sul “metodo Ristoo”, struttura il pagamento dello stipendio e ha anche una serie di benefit e bonus. Il potenziale che noi ristoratori non facciamo esprimere ai lavoratori riguarda anche tutta quella “tensione” che c’è nella relazione con i nostri clienti. Sono delle novità nell’ambito della ristorazione, perché facciamo percepire al nostro lavoratore che di fatto porta da mangiare a tavola, ma non fa solo quello. È una piccola parte del suo lavoro». 

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