Come passavano i mesi esitivi i bolognesi quando le ferie non esistevano ancora? Molti si rinfrescavano nelle acque nel canale Reno nel centro della città.
La pandemia da Covid-19 ha messo in crisi, anche di coscienza, molti e molte bolognesi sul nodo “vacanze sì, vacanze no”. Tanti e tante, a dirla tutta, non hanno potuto permettersi un viaggio estivo verso mete di mare o di montagna, come gli scorsi anni. Di questo, le generazioni passate di petroniani e petroniane avevano già fatto più volte esperienza. E, infatti, anche la classe media della Bologna dei primi del Novecento, difficilmente si concedeva belle trasferte da copertina lontano da casa. E se forse oggi tanti ragazzi e ragazze bolognesi sfoggiano foto sui social in luoghi a basso costo, molti giovanotti di ieri della “rossa, dotta e grassa” conservano ancora gelosamente, negli album di famiglia, gli scatti in bianco e nero di momenti vacanzieri a testa in giù nel Canale del Reno, in centro città. Magari quando l’occhio delle “pulle”, come in dialetto si apostrofavano i vigili urbani, guardava altrove. Eh sì, sembra incredibile. Ma Bologna era una città sull’acqua. E dai primi anni del 1200 fino agli anni ’50 del secolo scorso, al posto di asfalto e case, in via Riva di Reno, c’era un grande canale. Derivato dal corso del fiume omonimo attraverso un’antica chiusa di pali di legno a monte di Casalecchio (la cosiddetta Chiusa), poi ammodernata in materiali di pietra. Una vera e propria diga rudimentale, che permetteva la raccolta di grandi quantità d’acqua. Attraverso un canale artificiale, poi, una parte di questo serbatoio idrico veniva deviato verso il centro città. Alle porte di Bologna una doppia gratella impediva l’ingresso a rami, ramoscelli, avversari al bagno che cercavano un modo per penetrarvi e merci illegali.
Oggi, quella via ha mantenuto l’antica suggestione nel nome di via della Grada. Il Canale del Reno era più largo, più profondo e con una portata maggiore rispetto ad altri passaggi d’acqua. Rispetto a quello delle Moline, ancora visibile in via Piella dalla famosa “finestrella” sulla, ormai ribattezzata, “piccola Venezia”. E rispetto a quello che da Via Andrea Costa passava per il Pratello fino al parco del Cavaticcio. Chiamato, in alcune carte antiche, con l’esotico odonimo di ”Riviera del Reno”, era “la corrente elettrica” cittadina: il motore energetico di moltissime attività della zona, dalle peschiere, alle concerie di pelli, ai canapifici. Il corso, poi, riusciva ad azionare mulini, macine e filande, attraverso macchine ad acqua all’avanguardia per l’epoca. Come il torcitoio, per la lavorazione della seta. Questo contribuiva a fare di Bologna una vera e propria metropoli industriale e capitale della seta per generazioni e generazioni. Ma poi, il canalone era anche il regno, con i due larghi stradoni laterali, delle lavandaie. Un lavoro femminile poco remunerato: bastava solo un asse di legno e un panetto di sapone per esercitare la professione.
Lo scrittore e pittore di Bertinoro, Alessandro Cervellati, ha scritto, evocando questo incredibile paesaggio, nel suo libro “Bologna al microscopio” : «Non era raro, poi, ascoltare il canto di qualche lavandaia, il racconto inframmezzato da risate su qualche pettegolezzo(…). Tutto questo aspetto era talmente pittoresco e nel medesimo tempo intimo e raccolto da sembrare impossibile nel cuore della città». Non era insolito, in questo via vai di insospettabile fervore cittadino, trovare ragazzi che facevano il bagno, nonostante i ripetuti divieti di balneazione fin dal 1500. Non si poteva fare il bagno e, per motivi igienici, perché nel canale si lavava di tutto, anche i pannolini sporchi dei neonati. E, per motivi di decoro pubblico, perché in una città sotto la giurisdizione pontificia come Bologna, la regola morale era la prima regola d’oro. Oltre al lungo Canale, era stata predisposta una vasca natatoria nei pressi dell’attuale Via Milazzo: un vero e proprio bagno pubblico, e le sue acque erano ripulite una volta a settimana.
Le fotografie della prima metà del Novecento e le cartoline illustrate ottocentesche, sulla “Riviera del Reno” e la vasca natatoria, sono finite anche su Facebook, grazie all’articolo apparso sul sito “Storia e memoria di Bologna” della studiosa Daniela Schiavina, dal titolo Bagnanti a Bologna: quando le ferie non esistevano, in collaborazione con l’associazione Genus Bononiae. Musei in città, molto letto, condiviso e commentato sul web. Alla foto di due ragazzi intenti a fare il gioco della cavallina in acqua una signora commenta: «Mio marito ha imparato a nuotare lì!». Un’altra, ironizza, sulla lavanderia a cielo aperto: «lavatrice A+++++». E infine un’ultima, incredula, alla vista della vasca natatoria pubblica, scrive: «Quindi non era definita piscina, bensì vasca da bagno pubblica! Ma si poteva usare il sapone? Da non credere!». E così riaffiora l’incredibile, i ricordi sommersi di un’estate bolognese dove si faceva quel che si poteva, e ci si divertiva veramente con poco