Il sogno di un amore, Dante studente “fuori sede” a Bologna

Non mi poriano già mai fare ammenda / del lor gran fallo gli occhi miei sed elli / non s’accecasser, poi la Garisenda / torre miraro co’ risguardi belli, / e non conobber quella (mal lor prenda!) / ch’è la maggior de la qual si favelli.

Dante Alighieri, Rime LI, 10 giugno 1888, Non mi poriano già mai fare ammenda

Dante Alighieri a Bologna

Se da una parte il Sommo Poeta viene considerato sicuramente una delle vette della storia della letteratura italiana, per quanto riguarda la sua biografia, invece, non ci sono molte certezze, in particolare sul suo soggiorno bolognese. Secondo alcuni studiosi infatti Dante si recò nella città intorno al 1287, anno in cui compose quella che tuttora è una delle sue prime attestazioni poetiche – Non mi poriano già mai fare ammenda -, per approfondire i suoi studi. Emilio Pasquini in Vita di Dante (BUR, 2006) ironicamente lo definisce “studente fuori sede”. L’espressione coglie con termini moderni tutte le caratteristiche di questa esperienza: un viaggio di piacere e di istruzione per approfondire studi giuridici.

Nel sonetto Dante è così intento ad ammirare la Garisenda da non notare un’altra entità – di cui si parla al femminile – che si trova lì vicino e che, letteralmente, “è la maggior de la qual si favelli”, quella che è la più importante di cui si possa parlare. Probabilmente il riferimento è alla torre degli Asinelli, la “sorella” della Garisenda; eppure per chi ha studiato Dante queste rime sono cariche di un significato particolare e la forza con la quale descrive questa seconda torre evitando di nominarla mai davvero può far pensare che, forse, non stia parlando proprio di una torre. Non di quella torre almeno, ma piuttosto di un pilastro, di un sostegno, del centro di gravità attorno al quale ruota l’opera omnia di Dante.

Quello che mai fu detto d’alcuna

Siamo nel 1287, tre anni prima di un evento che sconvolgerà per sempre la vita del Sommo Poeta: la morte di Beatrice. A tal proposito scrive magistralmente il De Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana: “Beatrice è più simile a sogno, a fantasma, a ideale celeste che a realtà distinta e che procura effetti proprii. Uno sguardo, un saluto è tutta la storia di questo amore. Beatrice morì angiolo, prima che fosse donna, e l’amore non ebbe tempo di divenire una passione, come si direbbe oggi, rimase un sogno ed un sospiro”.

Ma, prima di tutto questo, piace pensare a un Dante poco più che ventenne, lontano da Firenze e dalla sua Beatrice, che osserva la maestosità delle Due Torri passeggiando per Bologna e che si ritrova a ricordare il volto di una donna. Al suo amore impossibile ed eterno. È un Dante ingenuo, all’inizio della sua carriera di poeta, non ancora Sommo, un giovane di buona famiglia intento a viaggiare, a studiare e a coltivare la sua passione per la poesia, con alcuni sonetti d’amore nel cassetto e nella mente delle idee che cambieranno il mondo.

I sonetti sono quelli che, anni più tardi, dopo la morte della sua donna angelo, andranno a comporre la Vita Nova, mezzo per l’elaborazione del lutto e occasione per raccontare un amore che allo stesso tempo è stato tutto e non è stato niente. Le idee, invece, lo porteranno a “dicer di lei quello che mai fue detto d’alcuna”, alla composizione della Commedia, punto di arrivo della sua esperienza poetica e punto di partenza di un nuovo modo di concepire la letteratura. Eppure Non mi poriano già mai fare ammenda è stata scritta prima di questo, prima che Dante diventasse il poeta che conosciamo oggi.

Anteo e la discesa all’Inferno

Che si tratti di Beatrice, di un’altra donna o della torre degli Asinelli in fondo non è così fondamentale. Importante invece è sottolineare le volte in cui compare la città di Bologna nella produzione poetica dantesca – si tratta, effettivamente, della città più nominata da Dante dopo Firenze. Non si sa se vi si recò davvero intorno ai vent’anni, ma sappiamo per certo che qualche altra volta la visitò. A conferma però della tesi secondo la quale un giovane Dante si trovava in città nell’estate tra il 1286 e il 1287 c’è anche la presenza all’interno delle sue opere di una teoria dell’Empireo ispirata a quella del teologo e francescano Bartolomeo da Bologna, che proprio in quegli anni iniziò la sua attività.

La Garisenda compare anche nei versi dell’Inferno, canto XXXI, e ad essa viene paragonato il gigante Anteo quando si china a “raccogliere” Dante e Virgilio per portarli al cospetto di Lucifero.

 

Qual pare a riguardar la Garisenda

sotto ‘l chinato, quando un nuvol vada

sovr’ essa sì, che ella incontro penda;

tal parve Anteo a me che stava a bada

di vederlo chinare, e fu tal ora

ch’ i’ avrei voluto ir per altra strada.

di Davide Lamandini

un articolo di Giovani Reporter

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