Con i numeri alla mano, il sindacato datoriale Unsic, non condivide le scelte del governo di riaprire le scuole il 9 dicembre. «È una follia».
«Il problema non è negli istituti scolastici, ma in ciò che vi ruota attorno. Nodi, come il sovraffollamento dei mezzi di trasporto pubblico o gli assembramenti davanti scuola con la sigaretta in bocca, non si possono sciogliere in poche settimane. Ecco perché la richiesta che viene da qualche ambiente ministeriale di riattivare in presenza alcune scuole, rimettendo in circolazione non meno di quattro milioni di persone, non tiene conto di una realtà sanitariamente problematica, supportata dai numeri». Sono le dure parole del sindacato datoriale Unsic, che sta monitorando la situazione scolastica da inizio settembre, prevedendo – nero su bianco – le criticità a cui la scuola in presenza sarebbe andata incontro: rilevante contributo ai contagi (almeno il 16 per cento del totale), discontinuità didattica a causa delle continue quarantene e delle sanificazioni, costante preoccupazione principalmente per docenti, personale scolastico e genitori.
Ad attestare tali criticità ci sono diversi dati, tra cui quelli dei Bollettini di sorveglianza settimanali dell’Istituto superiore di sanità. Quindi una delle fonti più autorevoli. Cosa dicono? Che i contagi in autunno sono esplosi proprio tra la popolazione scolastica e non in quella delle attività commerciali. Nella fascia di età tra zero e 19 anni, i contagiati erano solo 9.544 al 25 agosto (il lockdown di primavera ha chiuso subito i ragazzi in casa), diventati ben 102.419 al 7 novembre, con una crescita tra due e cinque volte in più rispetto alle altre fasce di età. Non solo: proprio tra i giovani si registra la maggior parte degli incolpevoli asintomatici, che portano poi il contagio “silente” nelle famiglie.
C’è una controprova dell’incidenza. Con la chiusura delle scuole in presenza e il passaggio alla didattica a distanza (Dpcm del 6 novembre), il numero dei contagiati, in questa fascia, è arrivato a 149.219 unità al 15 novembre, ma con un netto rallentamento (un punto in meno in percentuale). «Abbiamo più volte sottolineato che la didattica a distanza non è l’optimum. Ma dobbiamo scegliere: continuare ad adottarlo per un’altra dozzina di settimane, andando incontro al miglioramento delle cure e al primo effetto dei vaccini, o rischiare di provocare una terza ondata, con la replica delle file davanti al pronto soccorso, della ricerca spasmodica delle bombole d’ossigeno, dello sfinimento per il personale sanitario, dell’impennata del numero dei morti», spiega Domenico Mamone, presidente dell’Unsic.
L’orientamento di parte del governo è la riapertura per il 9 dicembre, dopo “il ponte” dell’Immacolata. Tra l’altro giorno dello sciopero generale del pubblico impiego, personale della scuola compreso. «Ma ciò equivale ad un azzardo» insistono dall’Unsic. «Tanto più che in termini di organizzazione e di prevenzione non cambierebbe alcunché, salvo l’arrivo di qualche banchetto a rotelle ritardatario. E le riaperture si sommerebbero ai prevedibili rischi legati a Natale, Capodanno e vacanze sulla neve, italiana o straniera che sia, nonché all’arrivo dell’influenza stagionale. Vogliamo davvero ‘apparecchiarci’ l’ennesima strage per la stagione invernale?».
fonte: Unsic