Mentre in Italia si dibatte di aperitivi sui navigli e ripartenze, in Africa si teme una lunga “pandemia silenziosa”. Il monito è dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) che attraverso il suo inviato speciale, Samba Sow, parla di condotta superficiale e di depistaggio del coronavirus da parte dei dirigenti africani. «Dobbiamo continuare a spingere i dirigenti a dare priorità massima ai test», ha dichiarato Sow durante una conferenza stampa lo scorso lunedì.
La situazione
In Senegal, Paese che conta più di 16 milioni di abitanti, vengono effettuati in media 900 tamponi al giorno con un tasso di positivi vicino al 10%, una enormità. Il Centro africano per il controllo e la prevenzione delle malattie, che coordina le risposte sanitarie alle pandemie nel continente, afferma che esiste un ampio divario tra i tassi di screening rilevati nelle diverse nazioni africane. Alcuni piccoli Paesi (come Mauritius e Gibuti) hanno raggiunto tassi di screening significativamente più elevati rispetto a quelli dei loro vicini più grandi. Il governo del Paese più popoloso dell’Africa, la Nigeria, sebbene insista nel concentrarsi su “gruppi” di casi positivi, non riesce ad assicurare il raggiungimento di 1000 test al giorno. Va aggiunto poi che alcuni Paesi del continente non dispongono di tamponi mentre altri, per vari motivi, non forniscono dati. Ad esempio, il presidente della Tanzania, John Magufuli, ha affermato che rilasciare dati sulla pandemia è cosa “spaventosa”. Sicché essi vengono pubblicati in modo intermittente, a volte fornendo solo il numero di persone guarite dal virus.
Le difficoltà nascoste
Al di là delle competenze e delle differenti scelte politiche, quello che l’OMS omette di dire è che in Africa le difficoltà di contenimento del virus sono enormi e di differenti matrici: strutturali, economiche, sociali, culturali, religiose, ma soprattutto strumentali. Qui è difficile finanche recuperare i reagenti chimici necessari per eseguire i test, poiché i Paesi africani non ne producono in proprio e devono lottare per ottenere reagenti da scorte mondiali limitate. Oltre la “pandemia silenziosa”, i rischi sono connessi con un possibile crollo, anch’esso “silenzioso”, della cooperazione globale e con il fallimento della solidarietà internazionale che esclude l’Africa dal mercato diagnostico. I Paesi africani potrebbero avere fondi, ma i 70 paesi che impongono restrizioni all’esportazione di attrezzature mediche hanno reso difficile l’acquisto dei beni necessari.
Acquisire quindi kit di screening in un mercato globale competitivo, fare test dove sono necessari e istituire laboratori per elaborare i campioni non sono iniziative agevoli da realizzare per Paesi con disponibilità economiche limitate e sistemi sanitari più deboli. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e la comunità internazionale piuttosto che manifestare astratte preoccupazioni dovrebbe occuparsi di questi “scomodi” temi e cercare soluzioni invece di persistere sull’afro-pessimismo.
La realtà omessa
Le rappresentazioni negative dell’Africa sono così radicate che non ci si preoccupa nemmeno di guardare in faccia la realtà. E quando la realtà va contro le generiche rappresentazioni, semplicemente la si omette. Attualmente, la nuova narrazione è quella di dire che potrebbe non esserci un disastro, ma che in Africa si morirà di fame a causa della crisi economica. Stessa immagine miserabile, stessi moniti, ma nessuna concreta proposta di cooperazione.
Quando l’OMS chiama “l’Africa per svegliarsi” (Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, il 18 marzo), ci si dovrebbe chiedere chi dovrebbe svegliarsi! Perché qui non si dorme, al contrario, si lotta ad armi impari. Fondamentalmente, la migliore risposta che l’Africa può dare è di affrontare le proprie sfide senza passare il tempo a rispondere a coloro che non vogliono vedere l’ovvio, o che semplicemente lo nascondono.
Viviamo nello stesso mondo e condividiamo un destino comune. Questa è la crisi dell’antropocene. Sappiamo che deriva dai nostri stili di vita, dalla devastazione della biodiversità e dalla riduzione dell’habitat naturale delle specie non umane. A nessuno saranno risparmiati gli effetti di questa grave crisi. La pandemia ci mostra la necessità radicale di cambiare il nostro rapporto con l’ecologia, con la geopolitica, con il consumo eccessivo e l’eccesso economico e industriale non equamente distribuito.
Come sempre, a livello sociale, la crisi rivela vividamente le profonde distanze che esistono tra nazioni e nazioni, società e società. Guardando al futuro, per alcuni il problema si pone soltanto in termini di compensazione del tempo perduto, di preoccupazione di mantenere il “sistema”. Nulla viceversa si propone di concreto per una solidarietà globale, per una autentica assunzione di responsabilità verso l’uomo, a qualunque nazione o colore o civiltà egli appartenga. Solo il virus non ha fatto distinzioni.
Angelo Agnisola giornalista cooperante
Corrispondente dal Senegal