L’intensificarsi della siccità legata ai cambiamenti climatici sta spingendo milioni di persone a migrare, soprattutto all’interno dei confini nazionali. A dirlo è un nuovo studio, pubblicato su Nature Climate Change, che ha analizzato i fenomeni migratori interni tra regioni di 72 Paesi, dal 1960 al 2016, mettendo in luce un trend preoccupante: l’aumento delle temperature e delle ondate di calore sta costringendo sempre più persone, in particolare nelle aree rurali agricole, a lasciare le loro case.
Secondo i ricercatori, l’aumento della siccità ha un impatto diretto sulle migrazioni interne, con effetti evidenti nelle regioni più aride dell’Europa meridionale, del sud dell’Asia, dell’Africa, del Medio Oriente e del Sud America. La ricerca ha rivelato che la pressione climatica aumenta in modo significativo la frequenza dei movimenti migratori, soprattutto nelle aree caratterizzate da un’elevata dipendenza dall’agricoltura.
«L’aumento della siccità ha un impatto significativo sulle migrazioni interne in particolare nelle regioni aride dell’Europa meridionale, del Sud dell’Asia, dell’Africa, del Medio Oriente e del Sud America», afferma Raya Muttarak, professoressa al Dipartimento di Scienze Statistiche “Paolo Fortunati” dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. «Questi fenomeni migratori sono influenzati dal livello di ricchezza, dalla dipendenza dall’agricoltura e dal livello di urbanizzazione delle aree di origine e di destinazione: in particolare le regioni rurali e agricole sono quelle più colpite dallo spopolamento».
Gli effetti delle ondate di calore e delle condizioni di siccità sono particolarmente drammatici in zone che già soffrono di un’irregolarità nelle precipitazioni e un progressivo aumento dell’aridità. Secondo la Banca Mondiale, questi fenomeni potrebbero spingere fino a 216 milioni di persone, entro il 2050, a migrare all’interno dei propri paesi.
Per raccogliere dati su queste migrazioni interne, i ricercatori hanno analizzato i censimenti di 72 paesi, relativi a un periodo che va dal 1960 al 2016, per un totale di 107.840 movimenti migratori tra 1.410 regioni amministrative. Il risultato è un database globale che offre uno spaccato senza precedenti delle migrazioni interne, che spesso restano invisibili.
I dati mostrano un trend chiaro: l’aumento della siccità è direttamente correlato a un incremento dei flussi migratori interni. Tra le persone che si spostano, la maggior parte appartiene alla fascia di età tra i 21 e i 30 anni, con una prevalenza di giovani uomini con un livello di istruzione medio-alto.
«Mentre gli effetti del cambiamento climatico continuano a mostrarsi davanti ai nostri occhi, i modelli previsionali suggeriscono che continueranno ad aumentare la frequenza e la dimensione dei periodi di siccità in varie regioni del pianeta», aggiunge Muttarak. «Problemi di scarsità idrica e difficoltà nella gestione dei terreni agricoli diventeranno sempre più profondi in queste aree, costringendo le popolazioni a cercare condizioni di vita migliori altrove».
Alla luce di questi scenari, gli studiosi suggeriscono che sia necessario creare corridoi migratori, dotando le regioni di infrastrutture adeguate e servizi sociali e sanitari in grado di gestire i movimenti interni di popolazioni in continuo aumento.
«Sono necessarie politiche per promuovere la diversificazione delle attività economiche, soprattutto nelle regioni molto legate all’agricoltura, e reti sociali di sostegno che possano mitigare il ricorso forzato alla migrazione», conclude Muttarak. «Solo in questo modo sarà possibile proteggere le popolazioni e favorire la resilienza nelle comunità colpite da siccità e aridificazione».
Lo studio, dal titolo “Drought and aridity influence internal migration worldwide”, è stato pubblicato su Nature Climate Change e ha visto la partecipazione dell’Università di Bologna, con Raya Muttarak come Principal Investigator del progetto ERC Consolidator “POPCLIMA: Population Dynamics under Global Climate Change”.