Solo una pianta autoctona su cinque riesce a sopravvivere nei territori maggiormente influenzati dall’attività umana. È quanto emerge da uno studio internazionale pubblicato su Nature, che ha analizzato oltre 5.500 siti in tutto il mondo, rivelando l’impatto invisibile dell’uomo sulla biodiversità vegetale.
Uno studio globale sulla perdita di biodiversità
La ricerca, condotta nell’ambito del progetto DarkDivNet e coordinata dall’Università di Tartu in Estonia, ha coinvolto più di 250 scienziati e scienziate di tutto il mondo. Tra questi, quindici botanici provenienti da nove università italiane, tra cui l’Università di Bologna, hanno contribuito alla raccolta e all’analisi dei dati.
Gli studiosi hanno rilevato la presenza delle specie vegetali in ciascun sito esaminato e confrontato i dati con le specie autoctone che avrebbero dovuto essere presenti ma risultavano assenti. Questo innovativo metodo di analisi ha permesso di identificare la “diversità oscura”, ossia la quota di biodiversità potenziale persa a causa dell’impronta umana.
L’impronta umana e la perdita di specie autoctone
I risultati sono allarmanti: nelle aree più colpite dall’attività antropica, fino all’80% delle specie vegetali native risultano assenti. L’impatto si estende ben oltre le zone urbanizzate, influenzando gli ecosistemi anche a centinaia di chilometri di distanza.
Nei territori protetti, invece, la situazione appare migliore: in queste aree, oltre un terzo delle specie idonee riesce a sopravvivere, mentre le assenze sono dovute principalmente a fattori naturali, come la capacità di dispersione delle piante.
“Lo studio conferma, purtroppo, che le nostre attività influenzano negativamente la biodiversità. È quindi necessario supportare al massimo le politiche volte a tutelarla, a livello locale e globale”, spiega il professor Alessandro Chiarucci dell’Università di Bologna, membro del Comitato Scientifico della ricerca.
Proteggere almeno il 30% del territorio per salvaguardare la biodiversità
La ricerca ha evidenziato che la perdita di biodiversità è meno marcata quando almeno un terzo della regione circostante è incontaminato o adeguatamente protetto. Questo dato rafforza l’obiettivo globale di proteggere almeno il 30% delle aree terrestri per garantire la conservazione della biodiversità.
Secondo gli esperti, il concetto di “diversità oscura” può diventare uno strumento chiave per identificare le specie autoctone scomparse e promuovere il ripristino degli ecosistemi.
DarkDivNet ha visto la collaborazione di numerose università italiane, tra cui Parma, L’Aquila, Insubria, Catania, Palermo, Cagliari, Basilicata e Ca’ Foscari Venezia, sottolineando il forte contributo dell’Italia nella ricerca sulla biodiversità globale.